Nell’opera Il mondo
come volontà e rappresentazione, Arthur Schopenhauer riprende il dualismo
kantiano. Per Kant il fenomeno (phainomenon, da phainein cioè
mostrare) è ciò che si mostra, ciò che appare, ciò che è accessibile
alla conoscenza umana; la realtà fenomenica è quella già data, nella quale
gli oggetti appaiono al soggetto ed alla conoscenza per come si presentano. Ma
esiste un’altra realtà che non appare e che quindi l’uomo non può
conoscere: questo è il noumeno (da "noein" cioè "pensare"),
l’incognita, la cosa in sé, la realtà inconoscibile ed inaccessibile creata
da un’entità superiore, la quale è l’unica a poterla conoscere. Il noumeno
ricorda all’uomo i suoi limiti. L’io come soggetto della conoscenza diventa
legislatore della natura: ordina gli oggetti e organizza i fenomeni secondo
schemi a priori.
Per Schopenhauer invece, il fenomeno
è pura illusione, apparenza, sogno, “velo di Maya” (è una potenza magica
ripresa dalla tradizione orientale di cui si servono gli dei per illudere gli
uomini). Il fenomeno è rappresentazione, nasconde la realtà. Ma il velo di
Maya può essere squarciato per andare oltre all’apparenza e raggiungere il
nocciolo metafisico, l’essenza noumenica. Il noumeno è ciò che si
mostra dopo aver squarciato il velo di Maya, è la realtà senza false
illusioni. Il mondo è una mia rappresentazione significa che il mondo
consiste nel suo essere percepito da un soggetto. Per Schopenhauer, infatti, il
fenomeno è rappresentazione di qualcosa che è dentro la coscienza del soggetto
e fuori non è nulla, è illusione che demistifica la realtà e che nasconde
l’essenza noumenica.
La rappresentazione è temporalmente e
spazialmente determinata: Schopenhauer pensa che bastino le forme a priori di spazio,
tempo e la categoria della causalità per spiegare la
rappresentazione, poiché la causalità può inserire gli oggetti collocandoli e
organizzandoli in un cosmo conoscitivo. I due lati necessari affinché esista la
rappresentazione sono un soggetto rappresentante ed un oggetto rappresentato;
essi non sono indipendenti tra loro: la realtà dell’oggetto è nell’essere
percepito, quella del soggetto nel percepire. Spazio, tempo e causalità
deformano la realtà e dividono gli enti che sono messi in rapporto l’uno con
l’altro: è il principium individuationis. Perciò la realtà
rappresentata è illusione, è apparenza. L’uomo però è portato ad
interrogarsi sul fine ultimo della vita e non vuole vivere nell’illusione,
vuole oltrepassare il fenomeno e giungere a capire il noumeno attraverso la
conoscenza intuitiva. Tuttavia, poiché l’uomo non è solamente intelletto ma
anche corporeità, o, detta con le parole del filosofo stesso, non è solo testa
d’angelo alata senza corpo, attraverso un’intuizione geniale,
ripiegandosi in se stesso nell’intimità del proprio io, riesce a conoscere
l’essenza noumenica dell’essere. Se l’uomo si vede dal di fuori, conosce
solo l’essenza illusoria dell’essere; se si guarda dal di dentro, se segue i
suoi sentimenti, la brama, la volontà di vivere, l’impulso che lo porta senza
posa a vivere e ad agire, può conoscere il noumeno. Il nostro corpo è il
fenomeno che copre la vera essenza del mondo, è manifestazione di un principio
che è volontà, è la parte finita che rappresenta l’infinito. Solo
l’infinito è concreto e reale, il finito è una parziale manifestazione di
esso. Il mondo fenomenico è la rappresentazione della realtà, il corpo è
rappresentazione del principio di Volontà.
Le cose del mondo sono oggettivate nella Volontà
che è il principio primo. Dietro la molteplicità dei fenomeni vi è
un’essenza che è unica, senza scopo ed eterna. Il suo unico fine è di
continuare ad essere, di perpetuarsi per l’eternità. Questo principio primo
infinito che si manifesta nel finito è irrazionale, non logico, ma assoluto, unico,
eterno, inconscio, è la sostanza del mondo. La Volontà si pone fuori dal mondo
della rappresentazione, si sottrae alle forme del mondo fenomenico (spazio e
tempo). Poiché la Volontà è presente ovunque e sempre, nel mondo non
c’è posto per l’individuo, le cui iniziative non sono altro che un mezzo
del principio infinito. L’uomo è quindi solo un burattino e la vita viene a
non avere più senso. <<[…]ogni aspirazione nasce da un bisogno, da una
scontentezza del proprio stato; c’è patimento fino a che essa (la Volontà)
non sia soddisfatta; ma non v’ha affatto soddisfazione durevole: essa non è
se non il punto di partenza d’una nuova aspirazione, sempre impedita in ogni
maniera, sempre lottante, quindi sempre causa di dolore: per essa giammai uno
scopo finale, perciò giammai limite né termine del soffrire. […]cresce il
soffrir arrivando al grado supremo nell’uomo; qui anzi è desso tanto più
violento in quanto l’uomo è dotato di una coscienza più lucida, d’una
intelligenza più alta: colui nel quale sta il genio è sempre quegli che soffre
maggiormente.>> [da A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e
rappresentazione]. Il mondo, quindi, diventa teatro dell’illogico, non esiste
alcun dio, non c’è religione né metafisica. Poiché Schopenhauer è un
materialista ateo, non c’è alcuna finalità ma solamente un meccanismo
esterno ai bisogni dell’uomo. Ne consegue la sofferenza delle creature, dato
che il male è parte dell’essenza del mondo. La critica all’ottimismo
sociale e storico è inevitabile: la storia è tutti i giorni sempre la stessa sonata, l’unico scopo dell’uomo è quello di perpetuare la specie.
Il piacere, così come per Leopardi,
è rimembranza o attesa, è piacere della memoria o della speranza e diventa
negativo, poiché presuppone assenza di sofferenza, mancanza di dolore. La vita
è vissuta per continuare ad essere, per il perpetuarsi della Volontà, non c’è
altro senso. <<[…]ogni volere si fonda su di un bisogno, su di una mancanza,
su di un dolore. Ma supponiamo per un momento che alla volontà
venisse a mancare un oggetto, che una troppo facile soddisfazione venisse a
spegnere ogni motivo di desiderio: subito la volontà cadrebbe nel vuoto
spaventoso della noia: la sua esistenza, la sua essenza, le
diverrebbero un peso insopportabile. Dunque la vita oscilla, come un pendolo,
fra il dolore e la noia, suoi due costitutivi essenziali.>> [da A.
Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione]. Quindi il piacere è
una breve pausa tra un desiderio e l’altro e l’uomo soffre perché
perennemente assillato dai suoi stessi desideri, che non può mai soddisfare
tutti e definitivamente. La noia, dolorosissima, subentra nel momento in cui
l’uomo, involontariamente, si trova a non sentire interesse per alcunché.
Per Schopenhauer la soluzione al pessimismo
non è il suicidio, che è, anzi,
conferma della Volontà: <<Lungi dal negare la Volontà, esso (il suicidio) la
afferma energicamente>>, poiché l’individuo è parte della Volontà, la
quale, anche se negata con esso, continua comunque ad esistere in tutte le altre
creature. <<[…] il suicida nega l’individuo e non la specie. La volontà di
vivere, lo ripeto, essendo assicurata in eterno, e il dolore essendo l’essenza
della vita, uccidersi è un atto inutile e insensato; esso distrugge
arbitrariamente il fenomeno individuale mentre la cosa in sé resta intatta.>>
[da A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione]. Il solo modo
per liberarsi dalla Volontà è negarla: è quindi necessario passare dalla
Voluntas alla Noluntas. Le strade per allontanarsi dalla sofferenza del
mondo fenomenico sono tre:
1)
la via dell’arte: consiste nel contemplare un’opera d’arte con lo
scopo di liberarsi momentaneamente dalla Volontà. L’artista che produce e
l’osservatore che poi fruisce dell’opera d’arte si distaccano dal mondo
fenomenico, dallo spazio e dal tempo, diventando puro occhio del mondo.
L’arte libera l’individuo dalla catena dei bisogni e dei desideri,
elevandolo al di sopra del dolore e del tempo. Tuttavia la funzione non
catartica dell’arte ha carattere parziale e temporaneo.
2)
la via della morale: deve sorgere non da un imperativo categorico
ma da un senso di pietà o di compassione nei confronti del prossimo. La morale
mantiene l’individuo all’interno del mondo ma fa sì che si liberi
dall’egoismo. Soffrendo con l’altro e compatendolo, non c’è differenza ma
unione metafisica. Bisogna assumere un sentimento di caritas.
3)
l’ascesi: è il tirocinio dello spirito che porta progressivamente al
distacco dal mondo per raggiungere la perfezione: è il definitivo annientamento
della Volontà, è il raggiungimento della Noluntas. L’individuo, cessando di
volere la vita ed il volere stesso, si propone di estirpare il proprio desiderio
di esistere, di godere e di volere attraverso delle tappe:
- castità perfetta per non perpetuare la specie
-
povertà assoluta per distaccarsi dai
beni del mondo materiale
-
non violenza per vincere il carattere stesso dell’individuo e le sue
tendenze naturali