Meglio di chiunque altro, Shakespeare ha proposto la sua realtà storica ed etica, focalizzando l’attenzione sulla crisi e sul senso di precarietà dell’uomo e del suo tempo.

E continuiamo a parlare di Shakespeare ...

di Daniela Mangano

Se è vero che l’arte di Shakespeare rappresenta un’esperienza collettiva unica ed irripetibile, è anche vero che, per individuarne appieno la grandezza, non si può prescindere dal legame indissolubile dell’opera shakespeariana col suo tempo.

Lo scrittore inglese utilizza egregiamente la crisi filosofica ed etica che veniva delineandosi tra la fine del XVI secolo e l’inizio del XVII. Non dimentichiamoci, infatti, che Shakespeare è per molti aspetti, sempre ancorato al Medioevo; anzi, è l’uomo medievale che assiste all’urto di grandi concezioni storielle e sistemi contrastanti di valori. Sarebbe quindi limitativo considerare Shakespeare come l’artista capace solo di proiettare nella sua opera l’esplorazione etica e universale dell’essenza dell’uomo. Hamlet, Macbeth o Lear non sono unicamente immagini eterne dell’uomo in sé, anche se è indubbia la loro assolutezza e, spesso, la loro contemporaneità.

E’ più conveniente, invece, interpretare l’arte shakespeariana attraverso un’indagine critica che tenga sempre presente l’immagine storica che l’opera stessa ci trasmette. Dovunque, in Shakespeare troviamo la problematica del suo tempo e, quindi, scorgiamo quello stato confusionario, quello sbigottimento che si connette alla crisi del sistema etico-filosofico medievale.Scena di Pericle, principe di Tiro, di Shakespeare, Taormina, 1986

Basti considerare l’importanza dello scisma dell’Inghilterra dalla Chiesa di Roma che non proponeva, in alternativa, un sistema dottrinario su cui basare la nuova religione di stato e, di conseguenza, scatenava nelle coscienze degli inglesi un senso di smarrimento e di confusone.

Oltre a ciò, le rivoluzionarie scoperte che si susseguivano nel campo dell’astronomia e della medicina scardinarono l’ordine gerarchico dell’universo al cui vertice era Dio. Nel momento in cui la "nuova filosofia" sovvertì l’ordine naturale, l’uomo medievale perse quelle sicurezze che erano il fondamento della sua profonda spiritualità.

E’ chiaro, quindi, che, meglio di chiunque altro, Shakespeare ha proposto la sua realtà storica ed etica, focalizzando l’attenzione sulla crisi e sul senso di precarietà dell’uomo del suo tempo. Se si riesce a comprendere la sua concezione aristocratica, conservatrice e gerarchica della vita, perché ancora legata agli schemi medievali, sarà più facile interpretare la "tragicità" dei suoi eroi, che sono eroi nuovi, di un tempo che sta cambiando e che sconvolge la serenità del fluire della vita. "Il bello è brutto e il brutto è bello", dicono le tre streghe in apertura del "Macbeth": tutto si sta sovvertendo e l’armonia dell’ordine universale è ormai caos.

Macbeth, Lear, Julius Caesar sono le vittime di questa crisi perché riflettono la destabilizzazione del corso naturale delle cose. Non vi è più, pertanto, assolutezza e centralità nel mondo tragico e comico di Shakespeare perché niente è certo e i suoi personaggi rappresentano il dubbio, il sogno, la pazzia che offuscano la mente e, al contempo, "proteggono" la coscienza dallo smarrimento di un mondo che è alla ricerca di un’armonica e organica continuità.