Dissesto ambientale, l’altra faccia della mafia.

di Laura Letizia

La rivoluzione scientifico-tecnologico-industriale dell'età moderna ha modificato, squilibrandola, l'interazione naturale tra l'uomo e il suo habitat. E' un fatto oggettivo che le risorse del nostro pianeta non sono inesauribili, quindi è un comportamento non soltanto irrazionale, ma anche criminale, quello di coloro che si ostinano a non prenderne atto. Ancor più deplorevole risulta un tale atteggiamento se ad esso si conformano gli organismi preposti alla tutela dell'ambiente, poiché ne deriva una gestione malsana, causa di drammatiche conseguenze sul piano ambientale e su quello sociale. Attualmente è proprio questa la condizione di fatto e non resta che prendere atto delle gravi responsabilità che hanno coinvolto, in questa folle corsa verso lo sfacelo ambientale, il mondo politico e quello degli affari. Tuttavia non c'è più tempo per continuare a scandalizzarsi, occorre finalmente agire, ognuno secondo le proprie competenze. Il mondo della scuola è fondamentale nell'intraprendere questo faticoso cammino verso il recupero di un più corretto rapporto tra l'uomo e l'ambiente, infatti i comportamenti si modificano lentamente e, quindi, soprattutto l'educazione può incidere sostanzialmente su di essi meglio di qualunque decreto legge o normativa.

Pertanto, è opportuno accennare brevemente a come fino ad oggi è stata gestita la spesa pubblica in Italia e in particolare nel Mezzogiorno dove sono stati attivissimi numerosi "comitati d'affare" per la gestione del territorio e l'acquisizione dei pubblici appalti.

Si è trattato di un vero e proprio blocco di potere che ha dissestato a tutti i livelli il paese e di cui abbiamo esempi eclatanti anche nelle nostre zone più prossime.

All'apice di tale organizzazione vi è un politico di considerevole levatura, nazionale o regionale, che si era preso cura d'insediare ai posti chiave delle amministrazioni locali gli uomini della propria corrente politica. La sua funzione era fondamentale: procurare il finanziamento per attuare le opere pubbliche richieste dagli amministratori locali che, nel contempo, gestivano le gare d'appalto per la progettazione e l'esecuzione di tali opere. La sua influenza era tale da garantire nel miglior modo possibile i "suoi" amministratori da eventuali iniziative della magistratura.

Un altro ruolo importante in questa spirale di corruzione era occupato da quelle Imprese che avrebbero dovuto realizzare il progetto delle opere pubbliche, non quelle più utili per la società, ma quelle più redditizie per i gestori del potere. Dovere importantissimo delle Imprese era anche quello di finanziare le campagne elettorali a favore di quei partiti che avrebbero assicurato loro il maggior numero di appalti.

Coinvolti in questi progetti di gestione del territorio, vi erano i funzionari dell'amministrazione pubblica, trasformati in efficienti faccendieri, incaricati di semplificare al massimo le difficoltose pratiche burocratiche per l'approvazione dei progetti da realizzare. Costoro venivano compensati con laute tangenti e notevoli favori politici. Intorno a questa allegra gestione gravitavano numerose braccia da lavoro che portavano a compimento (e non sempre) le opere in questione espletandone gli aspetti manovali.

Era fatale che nella gestione ormai marcescente del territorio dovesse intromettersi la criminalità organizzata, attirata da un tale flusso di danaro pubblico tanto facilmente "privatizzabile". Con quale espediente si sono introdotte le cosche criminali in questo giro d'affari? Attraverso le estorsioni: le imprese avevano bisogno di essere "protette" e la malavita era pronta a vendere la propria protezione a prezzi elevatissimi, anzi, sempre più spesso, cominciò ad esigere la partecipazione attiva e diretta nei comitati di gestione.

Ben presto si consolidarono Imprese interamente gestite dalle cosche che si prefissero un unico obiettivo: gestire il territorio ed il connesso giro d'affari, senza alcuna concorrenza. (Esemplificante in tal senso è stato il processo di Patti alle cosche rivali di Bontempo-Scavo e di Galati-Giordano).

Per troppo tempo il pubblico danaro è stato investito malamente ed improduttivamente e dovunque nelle zone nebroidee è possibile raccogliere testimonianze delle ingiurie infinte all'ambiente a causa di tanta intollerabile avidità: opere marittime, esempio esecrabile di incompetenza, scriteriate cementificazioni dei corsi d'acqua, hanno compromesso, forse irrimediabilmente, le nostre coste ed, inoltre, superflue quanto dispendiose opere di viabilità hanno contribuito, inutilmente, a prosciugare le tasche dei contribuenti.

Tutto questo in funzione di un sistema economico caratterizzato dalla brama di potere e di ricchezza, ma ancor più dall'indifferenza idiota e tracotante nei confronti degli ecosistemi che sono stati scardinati da questa pioggia d'interventi i socialmente vani e scientificamente ingiustificati.

L'ignoranza e la malafede dei nostri governanti sono risultate ancora più dannose di quei caterpillar e di quelle ruspe che sono stati inviati affinché si avventassero su alcune delle zone più suggestive delle nostre coste e dei nostri boschi.

Negli ultimi anni sembra essersi diffusa in Sicilia, in forma pressoché maniacale, la volontà di realizzare opere di contenimento del corsi d'acqua, che vengono catalogate sotto l'eufemismo di sistemazione idraulica, attività utilissima se volta a canalizzare corsi con notevole portata d'acqua, allo scopo di prevenire gli straripamenti o per rendere più funzionale il sistema d'irrigazione dei campi.

Purtroppo, non soltanto alcuni tra i più considerevoli fiumi siciliani, quali il Simeto, il Gela, il Torto, il Pollina, il Platani, sono stati oggetto di tale trattamento per gran parte del loro alveo, ma anche il reticolo idrografico minore ha dovuto subire interventi suggeriti non sempre da necessità e buon senso, ma da interessi privati che in quanto tali prescindono da considerazioni di pubblica utilità. Le operazioni, spesso superflue, d'imbrigliamento e di rettifica delle fiumare e dei torrenti sconvolgono delicati ecosistemi a carico della flora e della fauna, riducono la capacità autodepurante dei corsi d'acqua ed, impedendo il trasporto dei detriti, intervengono disastrosamente sulla conformazione delle coste. Inoltre, tali interventi vengono aggravati da una massiccia cementificazione dell'alveo, operazione quanto meno criminosa poiché isola i corsi dalle falde acquifere subalvee impedendo la naturale alimentazione dell’acqua e provocando l'impoverimento delle falde stesse nonché l'inaridimento del suolo.

Le più svariate amministrazioni, Genio Civile, Consorzi di bonifica, Ispettorati forestali, Assessorati agricoltura e foreste, Lavori pubblici, sembrano aver concordato in quest'opera di deturpazione del paesaggio e del territorio e di svilimento di opere pubbliche che, in linea di principio, dovrebbero essere garanzia di sviluppo economico-sociale. Tutto questo appare ancor più sconcertante se si pensa che non sono mancate del tutto le leggi per impedire il saccheggio dell'ambiente.

La legge Galasso, per esempio, è specifica per la salvaguardia delle coste fino a 300 metri, degli alvei dei fiumi fino a 1501 metri per lato, delle cime montuose oltre 1200 metri; e vi sono anche le leggi urbanistiche regionali e le leggi istitutive dei Parchi e delle Riserve. Ebbene, fino al più recente passato le violazioni in tal senso sono rimaste impunite, da adesso si guarda con speranza al nuovo habitus della magistratura, ma soprattutto ad una nuova coscienza degli italiani.