Una domanda alla pro.ssa Laura Letizia, docente di storia e filosofia

L’ordinamento quasi tribale-gerarchico della Sicilia,

con padroni, clienti, capi

a cura di Maria Grazia Sirna

 

D. - Quali sono, secondo lei, le cause storiche, culturali ed economi che della mafia?

R. - Riuscire a definire il fenomeno "Mafia" è cosa molto complessa poiché esso è da troppo tempo radicato in Sicilia e, pertanto, è andato assumendo caratteri e volti apparentemente diversi nel volgere del tempo. Tuttavia è possibile comprendere cosa sia, se si stabiliscono quali sono state le cause i che hanno fatto sì che essa si sviluppasse e radicasse nella nostra terra. Quindi è opportuno distinguere la mafia siciliana, come fatto di costume, dalla mafia come criminalità organizzata che, in quanto tale, non ha sdegno di proporsi il più possibile in altri paesi assumendo, magari di volta in volta, qualche carattere peculiare.

Il mafioso, nella sua fisionomia squisitamente sicula, ha acquistato potenza e credito fra i siciliani poiché fra costoro e le autorità costituite vi è sempre stato un rapporto si sopraffazione-soggezione e, nel contempo, atteggiamenti anarcoidi spesso "commissionati" dalle famiglie più in vista dell'isola, le quali, essendo organizzate in strutture feudali, tendevano a difendere le loro autonomie da quelle che consideravano illecite intromissioni da parte dello Stato. Infatti, l'Ordinamento sociale della Sicilia può considerarsi, per tutto il secolo XIX, quasi tribale-gerarchico, con padroni, clienti, capi.

Da troppi secoli l'insediamento al potere di governi stranieri ha stigmatizzato questo anomalo rapporto tra cittadini e Stato, rapporto che si è basato sul convincimento da parte dei governi che l'isola fosse terra di conquista e da parte dei siciliani che lo Stato fosse un nemico da combattere. E poiché, spesso, i dominatori di turno si servivano per governare di personaggi autoctoni, privi di scrupoli e volti a coltivare esclusivamente i propri interessi, le ribellioni finivano col divenire una lotta senza quartiere tra i "CAFONI", indigenti e sfruttati, e questi viceré o luogotenenti del Regno, corrotti e traditori.

La mafia si sostituiva allo Stato ed in quanto tale si assumeva arbitrariamente il compito di provvedere, in modo assai discutibile, a fare nuove leggi, ad imporle e a proteggere coloro che a tali leggi si dichiaravano fedeli. La mescolanza continua di genti diverse che ha caratterizzato la Sicilia da tempi assai remoti, ha, quindi, impedito la formazione di un ordine sociale ben saldo, immune da tentazioni insurrezionali; al contrario, fin da quando nell'antichità numerosi schiavi di razze diverse furono trapiantati, a causa delle continue dominazioni, nel variegato magma sociale dell'isola, asprissimi disordini sono divampati fino ad assumere le proporzioni di atroci rivoluzioni da parte delle masse meno abbienti contro gli organismi che rappresentavano l'ordine costituito.

Secondo l'intervistata, dunque, la mafia siciliana ha radici complesse; affonda la sua origine nel rapporto di sopraffazione adottato dalle autorità locali e in quello di soggezione subito dagli isolani. Strutture e mentalità feudali esercitavano nei confronti dello Stato una spinta centrifuga, in difesa dei privilegi dei ricchi e dei potenti.

L'assenza dello Stato o la sostituzione ad esso da parte dei forti ha creato un sistema di valori negativi, di cui, la violenza è stata e si è legittimata come norma.

 

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"Non armate la vostra mano, armate il vostro animo. Non armate la vostra mano, non ricorrete alla violenza, perché la violenza fa risorgere dal fondo dell'animo dell'uomo gli istinti primordiali, fa prevalere la bestia sull'uomo ed anche quando si usa in stato di legittima difesa, essa lascia sempre l'amaro in bocca..."

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Sandro Pertini

"Questa lor tracotanza non è nova" - Dante, Inferno, VIII, 124