I codici e i riti della Mafia

DIMMI COME PARLI.

di Rosalia Versaci, Rosalia Scavone, Angela Carroccetto

nutilmente si cercherebbe una traccia scritta del codice deontologico degli uomini d'onore. In seno a Cosa Nostra, gli scritti volano via; contano soltanto le parole e gli atti. E' un mondo nel quale sono aboliti i libri contabili, gli elenchi degli aderenti, il regolamento interno, ma non per questo le famiglie si lasciano scuotere da un vento di lassismo e di permissivismo. Fissate una volta per tutte, le regole che determinano il comportamento degli uomini d'onore vengono trasmesse attraverso una tradizione orale rigida, sola garante della perennità degli usi e dei costumi di cosa nostra. Nelle celle dell'Ucciardone, Buscetta ebbe l'occasione di verificare di nuovo quanto fosse solida e impenetrabile la "cosa" che salda tra di loro gli uomini d'onore, infinitamente più solida e impenetrabile di quanto sarebbe stata se un qualsiasi documento ne avesse dato la descrizione. Lo stesso Tommaso Buscetta non era il rampollo di una famiglia mafiosa, ma questo non gli aveva impedito di apprendere con facilità il nuovo linguaggio che doveva servirgli a farsi comprendere dai suoi pari e farsi rispettare dai suoi compagni di galera.

Gli uomini d'onore si servono di un idioma tanto somigliante a un Sabir (lingua che adotta un lessico misto e una grammatica semplificata, per consentire la comunicazione tra gruppi linguistici diversi, legati da frequenti rapporti, ad esempio commerciali) di siciliano e di italiano da trarre in inganno, ma l'uso che fanno delle parole, la loro abitudine di esprimersi con mezze frasi cariche di sottintesi rendono il loro universo "familiare" ancora più ermetico. Quando è possibile, gli uomini d'onore evitano l'uso delle parole. Ma il mondo del silenzio in cui vivono è popolato di sguardi furtivi, di cenni d'intesa, di ammiccamenti, di sorrisi e di altre mosse del viso che servono a facilitare la comunicazione. Due compagni di carcere di Buscetta erano stati arrestati a bordo di un'auto. Nel cassetto per i guanti della vettura c'era una pistola, ma prima che i poliziotti avessero avuto il tempo di scoprirla, uno sguardo era stato sufficiente a concordare la linea di condotta dei due. Senza che venisse scambiata una parola, uno dei due passeggeri aveva deciso di attribuirsi la proprietà dell'arma, mentre il secondo avrebbe affermato di non sapere nulla. Dopo un delitto, vennero arrestati alcuni uomini d'onore della stessa famiglia. Prima di essere portati in una cella dell’Ucciardone, uno di essi rivolse agli altri queste parole: "Nni cunsumammu (ci siamo rovinati). Gli uomini d'onore presenti compresero che il delitto era stato compiuto dal loro interlocutore e aveva per mandante il capo della famiglia. Se le condizioni non fossero state queste, gli uomini d'onore avrebbero evitato di parlare in presenza di poliziotti; quando devono esprimersi, lo fanno in termini lapidari

Nel gergo mafioso, gli esecutori di ordini scellerati, i sicari, sono indicati con il termine "picciotti". Persino ai tempi di Garibaldi si parla di picciotti e la parola non va intesa nel senso di una gioventù che spontaneamente corre sotto le bandiere garibaldine, o combattere contro la tirannide borbonica; ma nel senso di una coscrizione, di un reclutamento, operato dalla classe borghese-mafìosa, e dagli ultimi baroni, tra i contadini del feudo. All'interno delle famiglie mafiose si ha come tradizione l'uso di appellativi attribuiti in base alle caratteristiche fisiche e morali. Per esempio Gerlando Alberti, uno dei personaggi più noti di Cosa Nostra fu soprannominato da ragazzo "u pacare" (posato, calmo, saggio), da adulto 'u pacare. Invece Totò Greco fu conosciuto con il nome di Cicchiteddu, l'Uccellino, lo Scricciolo, così soprannominato perché piccolo di statura e gracile di aspetto. L'avvenuta iniziazione di una persona a Cosa Nostra viene indicata con l'espressione "è stato combinato" e termini espliciti come uomo d'onore o mafioso non vengono mai usati dagli affiliati. Si dice che il tale è stato combinato, e fatto, completamente fatto, ossia è stato iniziato con tutte le regole. Nella cerimonia di iniziazione ogni uomo che si accinge ad entrare in Cosa Nostra, deve pronunciare un solenne giuramento, per esempio il giuramento fatto negli Stati Uniti da Joe Valochi dice: "Le mie carni debbono bruciare come questa santina se non manterrò fede al giuramento". All'inizio di qualsiasi amicizia mafiosa c'è un rito, essenziale nella vita quotidiana degli uomini d'onore: la presentazione. In carcere, come in qualsiasi altro posto, un uomo d'onore non si rivela mai ai suoi pari. La presentazione avviene sempre secondo lo stesso rituale: con una formula lapidaria viene fatto capire che tutti gli uomini presenti sono la "stessa cosa". Si sottintende: "Noi facciamo tutti parte d'una sola e stessa cosa, Cosa Nostra". Il capo di una cosca mafiosa è il padrino, personaggio influente che non ufficialmente ma di fatto esercita il controllo di un settore importante della società, ricorrendo a mezzi di pressione non sempre leciti.

Nel lessico mafioso vengono utilizzati dei termini pericolosi. Per esempio per "posato" s'intende colui che viene espulso da Cosa Nostra e per "amici degli amici" s'intendono deputati, uomini politici, professionisti, funzionari che esercitano pressioni per favorire i mafiosi. "U ntrallazzu" indica lo smercio clandestino dei prodotti alimentari: II "pizzo" invece è la taglia, la tangente del racket; da: Vagnari u pizzu, bagnare il becco, figurativamente indica il prezzo della bevuta che costituiva il compenso del gregario per un servizio reso. L'appellativo "mala carni" viene attribuito a colui che è capace di qualunque azione di malavita. Il verbo "annacari", da naca, culla, significa dondolare; altro significato è camminare ancheggiando, da cui appunto assumere atteggiamento mafioso.

Il baciamano dell'uomo d'onore al capomafia ripete un atto proprio del rapporto del tipo feudale che per secoli il nobile ha imposto all'uomo di classe inferiore, nel meridione e in particolare in Sicilia. Anche dopo l'unificazione dello Stato italiano, i signori continuarono a lungo a ricevere in pubblico il baciamano loro dovuto e, in certe condizioni, questo rapporto si è prodotto fino a tempi assai recenti. Vive ancora, del resto, nell'espressione del saluto "baciamo le mani". L'espressione "baciamo le mani" è un modo per sottintendere frasi del tipo "Vossia sa che per qualunque cosa si deve rivolgere a me. Rispondo di tutto e può star certo nessuno le arrecherà fastidio". Molti saggisti che s'interessano di mafia, nei loro libri elencano vari proverbi siciliani, ove è condensato il senso della vita del mafioso, quasi a dirci che è quello il versante su cui è necessario battere la mafia. Tra questi proverbi vengono ricordati:

"Carzara fabbricata a l'ucciarduni, ca cu la fìci la sappi ben fari; attorno attorno cc'è lu bastiuni, cci su' li fìnistreddi pr'affacciari tempu di stati ci coci lu suli, tempu d'invemu un si cci po' stari. Lu carzaratu 'nta stu cammaruni, me matri veni e' un cci pozzu parrari", che descrive la vita nell’Ucciardone.

"L'omu de testa è 'ngegnu, l’omu de paura è omu", l'uomo intelligente è un ingegno, l'uomo di omertà è un uomo. "Una parola maledetta: ne viene una vendetta". "Calati juncu ca passa la china", abbassati giunco che passa la piena. "Cu mi duna u pani, è me patruni", riflette l'ideologia del padrone e la stupidità del servo che non si domanda se per caso lui non abbia diritto al pane. La lettera estorsiva di indubbia provenienza mafiosa è per lo più concepita in uno stile e in un tono, si direbbe, ossequiosi, nel senso che si domanda, in un certo modo, quasi scusa per l'incomodo che si arreca, e con proteste di devozione, di omaggio e di eterna riconoscenza; e con appelli al buon cuore dell'illustrissimo signor barone o dell'eccellentissimo signor commendatore.

La lettera estorsiva compilata da delinquenti novizi, e quindi non aggregati alla mafia, invece, ha un tono truculento e reca un vocabolario di parolacce e segni di teschi e di croci.

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"Se non si vorrà capire quanto sia categorico l'imperativo di combattere la mafia e se non si sarà disposti a faticare, soffrire e lottare per riconquistare una dignità che non può e non deve essere elargita da altri, ogni speranza rimarrà delusa e qualsiasi fiducia resterà tradita: occorrerà, allora, rassegnarsi e rimanere soltanto dei "giufà" alla mercé dei malandrini di turno".

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Aurelio Pes,

da Cara Palermo

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