Il codice criptico usato da padrini e servi

Il linguaggio della "vecchia" e della "nuova" mafia: baccagghiu e mafiese

di Anna Carroccio, Maria Teresa Mazzullo e Nicola Calcaterra (classe I A)

utte le conventicole, le società segrete e delinquenziali hanno adoperato un loro particolare linguaggio gergale, quello che il linguista italiano Graziado Isaia Ascoli definì brillantemente nel secolo scorso "furtiva creazione dell'ingegno umano". Questo gergo, presente da secoli, e per ovvi motivi, anche nella "mala" siciliana prende il nome convenzionale di baccagghiu.

Baccagghiari infatti è un verbo assai diffuso in Sicilia e significa "parlare in maniera convenzionale", significa pure "parlare per enigmi" ed in questo secondo senso è stato attestato a Randazzo ed ad Aci Castello, in provincia di Catania, e ad Assoro in provincia di Enna, come si può riscontrare anche nel recente vocabolario siciliano, edito a cura del "Centro di studi filologici e linguistici storici" e dell’ "Opera del vocabolario siciliano" di Catania. Da questo verbo baccagghiari deriva il sostantivo baccagghiu, che indica sia le espressioni ammiccanti, allusive e furbesche del linguaggio comune, sia il vero e proprio gergo della malavita: per cui "parrari a baccagghiu" significa parlare in gergo. Ma qual è l'origine della parola baccagghiu? Alcuni glottologi hanno pensato al francese baclage "chiusura di sicurezza" o "sbarramento"; ma non c'è affatto bisogno di ricorrere ai francese, perché questa parola esiste già nel linguaggio siciliano ed indica il morso del cavallo. L'immagine è evidente, perché chi usa il gergo è come se adoperasse una sona di boccaglio quando parla, talché il suo linguaggio risulta incomprensibile agli altri. Pertanto, abbiamo il baccagghiu cubbu (cioè cupo), che indicava lo specialissimo "gergo del gergo", noto soltanto ai pochissimi iniziati, e che, trasportato in frase ammonitoria, imponeva il silenzio assoluto in caso di imminente pericolo; e c'era infine il "baccagghiu mutu" (muto, silenzioso) che consisteva in taluni speciali cenni d'intesa, espressi mimicamente, come portarsi il dito indice sotto l'orecchio destro indicava la presenza di poliziotti nella zona. Il vecchio baccagghiu ormai nell'isola non lo adopera più nessuno. Le attività della "mala" sono cambiate, e cosi il linguaggio; ma alcune espressioni, assai rade in verità, ancora sopravvivono, perché sono da tempo entrate nei linguaggio furbesco comune, come ''sintiri cacoccita" che vuoi dire darsi delle arie, perché cacoccita (carciofo) nel vecchio gergo significava "mafioso"; o "sgarro" per indicare un'azione illecita e sleale compiuta verso altri mafiosi, come oggi sarebbe il non pagare una partita di droga o il non pagare la parte dovuta ad un complice. Nel linguaggio della "vecchia" mafia non mancavano neppure le forme autenticamente umoristiche. I questurini della Squadra Mobile di Palermo erano, ad esempio, soprannominati Paladini di Francia (con definizione evidentemente derivata dal linguaggio dell'opera dei pupi, il famoso teatro delle marionette siciliane), per gli atteggiamenti boriosi da loro spesso assunti nei riguardi dei malviventi arrestati; il "pidocchioso" era lo sprezzante soprannome affibbiato all'avvocato d'ufficio, spesso scelto dal tribunale tra gli avvocati disoccupati. Il "rapportu ufficiali", derivato dal linguaggio militaresco, era il resoconto delle imprese delinquenziali, fatto dai "picciotti" ai capimafia; e "testa di calabrese", cioè testa dura, era soprannominato il Pubblico Ministero per l'impegno con cui sosteneva la pubblica accusa nei procedimenti penali.

Ferrero, uno degli studiosi più qualificati del fenomeno dell'evoluzione linguistica della "mala" ha detto, a proposito di baccagghiu, che esso è costituito da un lessico interregionale, che stabilisce un immediato contatto professionale tra i delinquenti delle varie regioni e che, essendo un linguaggio vivo, è in perenne rifacimento, perché si tratta di "un composto organico quasi inafferrabile nella sua mutevolezza". La definizione è giustissima. Nel baccagghiu, la cui vitalità è plurisecolare, perché è riscontrabile dal Settecento fino a buona parte del Novecento - fino a quando cioè non è stato soppiantato dal linguaggio della nuova mafia, o "mafiese" - sono infatti riscontrabili diversi elementi costitutivi, che possiamo distinguere sia dal punto di vista storico che da quello lessicale. Dal punto di vista storico, nel baccagghiu si riscontrano stratificazioni relative a vari periodi, quali: 

a) periodo borbonico (1734-1860)

b) Opera dei Pupi

c) Moti rivoluzionari del 1984/49

d) I guerra mondiale

e) periodo del fascismo (1922-1943) e della II guerra mondiale (1940-1945)

Dal punto di vista lessicale, nel baccagghiu sono riscontrabili apporti vari sotto forma di:

a) americanismi

b) arabismi, per contatti con la mala tunisina e algerina

c) francesismi

d) lombardismi

e) napolitanismi

f) romanismi

Il linguaggio gergale detto baccagghiu ebbe diffusione e vigore in Sicilia fin verso gli anni Settanta, cioè fino a che la malavita siciliana continuò ad avere caratteri propri e specifici, passando da mafia rurale, come era stata nel periodo 1860-1946, a mafia cittadina dal 1946 in poi.

Negli anni Settanta si assiste quindi ad un'ulteriore evoluzione della mafia, che da "cittadina" diventa internazionale: cambiano usi, costumi, attività e sfera di interessi e conseguentemente cambia anche il linguaggio, che dal baccagghiu, che era soprattutto un gergo di ladri, di borsaioli e di sfruttatori, diventa mafiese, che è soprattutto gergo di contrabbandieri di armi, di spacciatori di droga, di speculatori di ogni genere. Le espressioni linguistiche del mafiese si rivelano totalmente nuove rispetto a quelle del baccagghiu. La stessa parola "mafia" non viene adoperata più, ed è sostituita da "Cosa Nostra"; e se qualche parola dei baccagghiu sopravvive nel nuovo linguaggio, essa viene adoperata in significato assolutamente diverso, come è il caso di "basi" che nel baccagghiu significava "colpo da compiere" e nel mafiese diventa "informazione" e quindi basanti è l'informatore. Sono pochissime le parole che conservano l'identico significato in ambedue i linguaggi; fra gli scarsi esempi che si possono portare c'è la parola "sgarro", che ormai è italianizzata, ed indica l'azione sleale. Nei mafiese si cercherebbero invano espressioni estrose linguisticamente. Abbondano invece le terrificanti parole nuove, come "cappottu pisanti" che indica un cadavere inglobato dentro una colonna di cemento armato; o "coscia di prosciutto di prisuttu" per indicare il mitra omicida; o incaprettamento per indicare la morte più crudele che il sadismo umano possa immaginare. Il mafìese è un linguaggio agghiacciante: non per nulla i mafiosi di oggi affermano che "il miglior perdono è la vendetta", annullando e sovvertendo quanto di più nobile il cristianesimo ha tentato in 2000 anni di insegnare all'umanità, e cioè che "la miglior vendetta è il perdono". Un esempio tipico del linguaggio della nuova mafia è quello offerto dalle espressioni adoperate; dal pentito Salvatore Contorno, il palermitano comunemente chiamato "Totuccio Contorno"; è infatti un vezzo della nuova mafia chiamare i suoi adepti con vezzeggiativi e diminutivi. Il mafiese da lui adoperato (è risultato così duro ed ostico ed inintellegibile, che gli avvocati hanno spesso accusato il Contorno di "atteggiamento ostruzionistico", di "rappresentazione farsesca" e di "linguaggio incomprensibile", per cui la corte d'Assise di Palermo, per eliminare ogni possibile dubbio sul preciso significato delle parole adoperate dal Contorno nella sua lunga deposizione, ha deciso che un perito di chiara fama ne effettuasse la traduzione in italiano.

Dall'accurato esame e dallo studio specifico si sono ricavati elementi che hanno permesso di formulare quell'indagine comparativa del mafiese rispetto al baccagghiu. Innanzitutto vengono usati nel mafiese termini assolutamente nuovi rispetto alla vecchia mafia. Una novità fondamentale è rappresentata dalle numerosissime forme italiane che tendono a soverchiare le forme dialettali siciliane, e che indubbiamente sono dovute all'influsso televisivo. Non è quindi sostenibile ciò che è stato affermato in taluni resoconti giornalistici e cioè che il Contorno ignori la lingua italiana; egli invece la conosce, sia pure a modo suo. Perché dunque il Contorno nelle sue deposizioni al processo di Palermo ha costantemente adoperato questo linguaggio particolare?

Il motivo è chiaro ed evidente: egli ha voluto farsi capire non tanto dai magistrati o dagli avvocati, quanto dai suoi ex amici mafiosi, e pertanto egli ha adoperato il loro linguaggio, perché essi erano i suoi reali interlocutori, non i giudici e gli avvocati.

Torna all'elenco