USURAI, VIL RAZZA DANNATA

DANTE E GLI USURAI

di Salvatore Di Fazio

L'usura trova oggi, come in passato, terreno fertile in questo generale dissesto, in un sistema democratico guasto e vulnerabile, in cui il cittadino indifeso e debole diventa facile oggetto di rapina.

usura è un vizio antico e molto più diffuso di quel che si creda, un peccato gravissimo e lercio, perché è un insulto contro la natura e contro il lavoro che da essa deriva. L'usuraio, prestando a interessi superlativi, usurpa la fatica degli altri, di quanti si trovano nel bisogno, e da parassita qual è succhia il sangue delle sue vittime e le trascina nella disperazione o nella rovina, senza pietà, senza umanità, senza scrupoli, senza alcun rispetto della giustizia umana e divina.

Nel Medioevo questa losca categoria di sciacalli, in assenza di un sistema bancario che impedisse tale infame attività, era fortemente osteggiato dalla Chiesa, fino al punto da ritenerla meritevole del rogo. Chiunque veniva scoperto era bollato di eresia per quell'inerzia morale che lo assimilava istintivamente agli ignavi, per quella avidità di ricchezze che suonava come bestemmia contro Dio. Dante, che non aveva peli sulla lingua e che non taceva le sue ire e il suo disprezzo nei confronti della società comunale che amava "i subiti guadagni", dedica 43 versi del XVII canto dell'Inferno a questo tema, ma non sono i soli, viste le anticipazioni date nel canto XI. Questi peccatori sono immersi nella rovente atmosfera dei violenti (terzo girone del settimo cerchio), vicino ai sordomuti, rannicchiati a covare il denaro sull'orlo estremo di un terribile burrone, folla senza volto che mostra una sofferenza dirompente dagli occhi usciti dalle orbite, grondanti di lacrime -"Per gli occhi fuora scoppiava lor duolo" - sotto una pioggia di fuoco che li scotta, travolti da una bufera di fiamme che pare quella di Sodoma e Gomorra. Affannosamente cercano di ripararsi dal diluvio incendiano che scende dalle cateratte spalancate del cielo infernale dimenando le mani come quando d'estate i cani col muso e col piede si difendono "o da pulci i da mosche o da tafani".

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Il poeta non li riconoscerebbe, se essi non tenessero a portata di mano - quasi un illusorio banco di pegni - una borsa-marsupio con impresso lo stemma gentilizio della famiglia di appartenenza, marchio vergognoso del culto delle mazzette e della bestiale mortificazione dell'uomo che si fa vampiro dell'altro uomo. Dante, con questo stratagemma simbolico, denuncia alcuni rampolli di potenti casate; Ciapo o Locco degli Obriachi, fiorentino, i Gianfìgliazzi, guelfi di parte nera, i padovani Reginaldo degli Scrovegni e suo genero Vitalino del Dente, i quali tutti prestavano fiorinipersino al signore della città.

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La Chiesa e la letteratura mettevano alla gogna questa mala genìa di rapaci, la cui sola colpa era sentita allora come imperdonabile, come conseguenza di quella cultura dell'oro che aveva trascinato Firenze e l'Italia in una folle corsa al consumismo, al lusso, all'immoralità.

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E vicino a costoro stanno Gerardo da Camino e Gianni Buiamonte, quest'ultimo di Firenze, Gonfaloniere di giustizia nel 1293, banchiere, usurario e bancarottiere fraudolento. Della frode che gli usurai perpetrano è immagine plasticamente simbolica Geione, "la fiera... che tutto il mondo appuzza ", "la sozza immagine di froda", mobile, sinuosa, con la faccia da persona onesta e il corpo di serpe, mostro dotato di branche leonine, di nodi e spire di drago, di coda biforcuta armata di aculei simili a quelli. La degradazione dell'umano all'animalesco a cui Dante fa scendere gli usurai rientra in quel registro ferino e in quella coerenza stilistica che sono doti dei grandi geni.
La stessa similitudine delle tele di Aracne e dei drappi tartari e turchi (XVII, 16-18) apre prospettive mercantili, mostra inventari e registri di cassa, conti in banca e merci in magazzino; lascia immaginare arricchimenti facili, rapidi, agevoli, accumulati - come oggi - in ville o appartamenti insospetti, patteggiati a quattrocchi in segreto, lontano dagli sguardi indiscreti dei ficcanaso: arricchimenti, insomma, realizzati in nome di "favori"... che hanno lo spessore e la ributtante peculiarità del crimine, nel 1998 come nel 1300.

Questo squallido inganno, questa insidia ricattatoria, questa ingiuria contro chi lavora e produce, questa variante dell'estorsione che è l'usura viene rivestita da Dante di tutto il disprezzo che un uomo di altissimi sentimenti morali può avvertire.

Infatti, l'usura che Dante stigmatizza era uno scandalo che, nonostante la gravità e i rischi a cui si andava incontro, commettevano banchieri e proprietari terrieri, trafficanti a aristocratici ingordi di denaro.

La Chiesa e la letteratura mettevano alla gogna questa mala genìa di rapaci, la cui colpa era sentita allora come imperdonabile, come conseguenza di quella cultura dell'oro che aveva trascinato Firenze e l'Italia in una folle corsa al consumismo, al lusso, all'immoralità. Le ragazze avevano imparato ad usare le gonne "contigiate" (vistosamente, cioè, ricamate e adorne di gioielli di gran valore), e sposavano a 13-14 anni, pretendendo dai genitori una dote spesso smisurata rispetto alle reali possibilità economiche.

Si era pure diffuso un egoistico e vizioso controllo delle nascite, per effetto del quale c'erano "case di famiglia vote"; dilagava la più sfrenata carica di tradimenti coniugali e di lussuria che, per effetto della emigrazione verso la Francia, impunemente contagiava le cosiddette vedove bianche. E poi lotte di potere, fratture all'interno di partiti politici e delle famiglie che le gestivano; e ladrocini e corruzione e guerre di tutti contro tutti.

L'usura trovava terreno fertile in questo generale dissesto, così come lo trova oggi in un sistema democratico guasto e vulnerabile, in cui il cittadino indifeso o debole diventa facile oggetto di rapina. Questo squallido inganno, questa insidia ricattatoria, questa ingiuria contro chi lavora e produce, questa variante dell'estorsione che è l'usura, viene rivestita da Dante di tutto il disprezzo che un uomo di altissimi sentimenti morali può avvertire. Nonostante siano passati più di 700 anni, questa illecita e delittuosa attività viene esercitata tra il silenzio e la paura di chi precipita nella rete di tali approfittatori, con gli stessi metodi di sempre, ancora ai nostri giorni. Fiumi sotterranei di soldi, strappati dalle tasche di piccoli imprenditori, di operai, si sventurati, scorrono come i lividi fiumi dell'inferno dantesco lungo il vasto territorio del malaffare.

Non a caso, perciò, illustrando la distribuzione dei dannati nell'abisso della perdizione, Dante colloca gli usurai contro Dio e contro la natura, con questa motivazione: "Puossi far forza ne la deitade, / col cor negando e bestemmiando quella, / e spregiando natura e sua boutade; / e però lo minor giron suggella / del segno suo e Sodoma e Caorsa / e chi, spregiando Dio col cor, favella".

La violenza degli usurai sta a fianco a fianco con la frode, con la più volgare delle inclinazioni umane, la quale abbraccia "ipocrisia, lusinghe e chi affattura, /falsità, ladronaggio e simonia, / ruffian, baratti e simili lorsura". In questo specchio della malizia e dell’imbestialimento umano vorremmo che si guardassero quanti oggi fanno, a porte chiuse, gli strozzini.

 

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