E’ una
assolata domenica di luglio del 2001 quando mi reco sull’Etna insieme ad
un mio amico, come di consueto data la mia passione per la Natura (e i
Vulcani in particolare), e per catturare qualche nuova bella immagine
fotografica. Ci troviamo presso la Torre del Filosofo, a m 2.650 di
altezza: sono avvertibili e continue alcune forti vibrazioni del terreno,
ed il signor Salvatore Carbonaro, anziana guida alpina, mi racconta come
da qualche giorno si succedono migliaia di scosse che preannunciano una
sicura eruzione. Chiedo se gli strumenti del servizio di rilevamento
vulcanologico indicano un preciso epicentro, sentendomi rispondere: -E’
proprio qui, dove ci troviamo in questo momento. Prego il signor
Carbonaro di spendere una telefonata per avvisarmi qualora si presentasse
un principio eruttivo, ed infatti la sera del martedì successivo è
proprio lui alla cornetta per dirmi:
- Ci siamo: sto partendo
adesso per “la Montagna”, in quanto siamo stati avvisati di una
frattura apertasi a quota 2.200, con emissioni di fumo. Se vuole, ci
possiamo vedere là.
E’ già tardi, e da S.Agata sarebbero
necessarie almeno tre ore di guida al buio. Così avviso il solito amico
di avventure e la mattina del giorno seguente siamo sul posto alle ore
8:00 in punto. Il teatro dell’eruzione è la zona del noto Rifugio
Sapienza. Poco più in alto, tra le conche degli estinti Crateri
Silvestri, una frattura di circa 500 metri emette colonne di fumo chiaro
alternate a sbuffi di ceneri nerissime che erompono con forti boati. Ci
portiamo vicino fino a poche decine di metri. Spruzzi di lava fuoriescono
da una profonda voragine, mentre le esplosioni che sono un centinaio di
metri più avanti diventano sempre più preoccupanti per potenza e lancio
di massi. Ci allontaniamo, ma resteremo per giorni nelle immediate
vicinanze, con il lasciapassare della Protezione Civile, per documentare
le fasi eruttive: spettacolari di notte, con fontane e fiumi di lava che
tagliano la strada e invadono il piazzale del Sapienza, minacciando poi l’abitato
di Nicolosi. Un più alto fulcro eruttivo si apre intanto presso il
Rifugio Montagnola (dove si stava a discutere la domenica precedente):
nell’arco di tre giorni un cono avventizio si innalza per circa 150
metri, creando un lago di lava che distrugge lo stesso rifugio e gli
impianti di risalita e, sovrapponendosi alla colata di quota 2.200, avanza
sul versante Sud. Tanto di giorno che di notte, lo spettacolo è unico,
affascinante, e, dalla nostra postazione, goduto e documentato.
E’ trascorso poco più di un
anno quando il vulcano fa parlare ancora di sé: stavolta per la pioggia
di ceneri che ha raggiunto anche i nostri paesi, ma pure per i terremoti
che hanno prodotto dei danni a paesi come S. Venerina. Lo scorso mese di
novembre, ancora una telefonata alle sei del mattino (!) di una domenica
mi invita a partire alla volta dell’Etna. Sono sul posto dopo due ore e
salgo per la “Maremonti” fino a Piano Provenzana. Sulla cresta di
Monte Nero (m 2.049) si presenta uno spettacolo unico. Almeno tredici
bocche disposte in fila lungo una frattura (“bottoniera”) lunga un
paio di
chilometri eruttano, con emissioni enormi di fumo e ceneri. Dopo qualche
ora una massa enorme di lava ha già invaso Piano Provenzana con gli
impianti sciistici, e il fumo, sospinto dal vento nella nostra direzione,
crea un’atmosfera livida e spettrale che spaventa. Fronti più avanzati
travolgono e incendiano la bellissima pineta, tagliando la strada
asfaltata. Si corre via temendo di rimanere bloccati con la macchina;
quanto prima sarà reso difficile dalle Autorità l’accesso a questi
luoghi. L’esperienza più singolare è per me la percezione dei tremori
della terra sotto i piedi. Squilla il telefonino quando, per una scossa
più forte, barcollo perdendo quasi l’equilibrio. Si tratta di un mio
amico geologo, che avendo saputo i fatti dalla radio mi propone di andare
con lui sull’Etna! Gli confesso di essere già sul posto, vivendo in
quell’attimo l’esperienza di “ballare” sui terremoti. Nei giorni
successivi sul versante meridionale (il solito cratere della Montagnola)
riprendono le forti emissioni di ceneri che hanno creato disagi alla
città di Catania ed al suo aeroporto. Il pericolo maggiore si presenta
per le strutture turistiche del Rifugio Sapienza, ancora una volta salvate
con l’impiego di bulldozer che creano argini per deviare la lava.
I dimenii interni del magma che
pervadono la complessa area vulcanica su cui ci troviamo, ha interessato
inoltre il sistema eoliano: Stromboli ha mostrato fenomeni parossistici
particolarmente intensi e pericolosi, tenuto conto dell’ordinarietà dei
suoi tipici e regolari ritmi, attirandomi più volte tanto da permanere
intere notti sulla sommità per vedere ed ascoltare il suo “respiro di
fuoco”. Le conseguenze sono state onde anomale, colate che hanno
raggiunto il mare, esplosioni con massi che hanno colpito l’abitato di
Ginostra. Analogo interesse scientifico ha suscitato l’eruzione
sottomarina di Panarea, con gas che affiorano nel tratto di mare compreso
tra l’isola e gli scogli prospicienti, ritenuti appunto i resti di un
orlo craterico collassato in tempi assai antichi.
Gli
eventi a cui i nostri vulcani ci hanno recentemente riabituati,
sottolineano il fatto che abitiamo luoghi straordinari dove la Natura è
viva ed estremamente attiva. Le energie sprigionate possono affascinare
per gli spettacoli grandiosi che lasciano sgomenti, ma devono al contempo
farci riflettere sulla necessità di porci nel giusto e rispettoso
rapporto con tali fenomeni, per convivere al meglio con un ambiente
naturale “difficile”, ma al contempo ricco di eccezionali risorse.