L’ETÁ AUGUSTEA

La vittoria di Azio, riportando la pace dopo le guerre civili e segnando la vittoria di Ottaviano su Antonio, riaprì all’impero le strade verso la prosperità.

Uscito vittorioso e celebrato il trionfo col titolo di Augusto, Ottaviano instaurò il suo definitivo primato in tutto l'Impero romano; ordinò e riorganizzò, inoltre, sul piano politico, amministrativo, militare e religioso, gli immensi territori dell'impero.

Da uomo prudente qual’era, avendo imparato dalle idi di marzo che gli uomini restano a lungo fedeli alle forme anche quando ciò che c’è dietro è mutato, rispettò del tutto le vecchie istituzioni, rinnovandole però nelle funzioni: creò così le condizioni per la convivenza tra il principe, riunente in sé le facoltà delle antiche magistrature, e il Senato.

 

Vasta e molteplice fu l'attività che egli svolse circondato da esperti consiglieri, tra i quali Agrippa e Mecenate: tra le tante opere, riorganizzò le finanze, creò il cursus publicus (servizio postale) e appoggiò l’arte e la poesia; ma soprattutto fu con la creazione di grandi reti stradali e con il successivo sviluppo dei traffici terrestri e marittimi, che Roma diventò un crogiuolo di civiltà provenienti da tutte le parti creando così le basi per quell’universalità che la caratterizza ancora oggi. 

La pace augustea permise che le arti e le lettere  diventassero un mezzo efficacissimo di propaganda della politica del principe, cosicché in questo periodo vediamo i più grandi ingegni del tempo concorrere a rendere più salda l'opera creata da Augusto.

La pace di cui l'impero gode, infatti, fu propizia al propagarsi della cultura, e la protezione che i maggiori cittadini accordarono agli artisti e ai letterati diede grande sviluppo alle manifestazioni dell'arte in genere.

Scrittore, oltre che protettore degli studiosi, fu lo stesso Augusto. Tra i suoi scritti si ricordano soprattutto i Commentarii de vita sua e le Res gestae divi Augusti, la monumentale opera nella quale intraprende, per i contemporanei e per i posteri, il racconto autobiografico delle proprie imprese, e che si può inoltre ritenere il capolavoro della sua affascinante diplomazia.

Fedelissimo ministro ed uno dei principali artefici della fortuna di Augusto fu Mecenate, il cui nome è divenuto sinonimo di protettore delle lettere e delle arti. Fu lui stesso autore fecondo di prose e di versi, ma la sua vera fama consiste nell'aver protetto i più grandi ingegni del tempo, di cui seppe gustare le opere. 

A fianco di Augusto e Mecenate, parecchi altri uomini politici coltivarono le lettere e le scienze, e protessero e diffusero gli studi, fra cui Agrippa, oratore efficace, scrittore sobrio di memorie e grande costruttore di superbi edifici; ma anche Asinio Pollione al quale si deve la fondazione della prima biblioteca pubblica parecchi anni prima che, dietro il suo esempio, Augusto fondasse le biblioteche Octaviana e Palatina.

Accanto a questi è da porsi inoltre Igino, liberto di Augusto e direttore della Biblioteca Palatina, perchè il fatto che un personaggio di origine servile fosse diventato direttore di una biblioteca stette a significare che ora la strada dell’ascesa sociale sarebbe potuta passare anche attraverso le attività culturali e non più solo economiche.

Un altro importantissimo personaggio fu Vitruvio che negli anni in cui Augusto si dedicò ad un programma di rinnovamento dell’edilizia pubblica scrisse il trattato De architectura nel quale vide l’architettura come l’imitazione dell’ordine provvidenziale della natura; per cui l’architetto doveva conoscere bene tutte le scienze e avere veramente una cultura enciclopedica.

L'arte dell'età di Augusto si fonda quindi principalmente sull'ornamentazione architettonica, oltre che sulla scultura e sull'artigianato e costituisce innegabilmente uno stile raffinato, aristocratico e impersonale. Augusto si vantò infatti di aver trovato una Roma di terracotta e aver lasciato una Roma di marmo; solo adesso, effettivamente, Roma divenne una città di aspetto simile alle più importanti città ellenistiche.

 

Il periodo da Augusto ai Flavi segnò però la preferenza per quei tipi di edifici che si sottraevano all’influenza dell'architettura templare greca: gli archi onorari, le terme, gli anfiteatri, lo stesso mausoleo di Augusto a Roma. In genere però, ciò che l'architettura e l'urbanistica perdette, rispetto alle tendenze elleniche, in estro e fantasia, lo guadagnò in solennità e simmetria.

Un voluto ritorno alle forme etrusco-italiche si ebbe infatti nel cosiddetto Augusteo, il mausoleo dell'imperatore e della sua famiglia; glorificazione dell'opera politica di Augusto fu inoltre il monumento dell'Ara Pacis, simbolo della raggiunta pacificazione dell'impero dopo tanti anni di guerre.

I più illustri oratori del tempo furono Asinio Pollione, Valerio Messalla, Tito Lamebio e Cassio Severo, ma malgrado il loro impegno, l’eloquenza subì un periodo di decadenza, e Tacito nel famoso Dialogo degli oratori ce ne spiega le cause: il periodo delle agitazioni repubblicane, dei grandi processi e delle proposte di legge aveva fornito a lungo materia per le grandi orazioni, adesso invece la continua tranquillità del Senato e specialmente il governo del principe avevano placato fra tutte le altre cose anche l'arte oratoria.

Fiorente invece fu la giurisprudenza, il cui studio ebbe l'appoggio del principe, che, approvando il parere dei giuristi prima che venisse emesso, conferiva ad esso autorità e forza di legge.

Decadde, al pari dell'eloquenza, la filosofia; ma la storia ebbe insigni rappresentanti, fra i quali Tito Livio. Di Roma egli narrò le vicende nell'opera Ab Urbe condita, sette secoli di storia, racchiusi tra due tragedie: la tragedia di un grande popolo durante la distruzione della città di Ilio, e la sconfitta di un esercito, quello di Varo. Oltre che lo scopo di glorificare le imprese del popolo romano, Livio volle anche mostrare per mezzo di quali uomini e di quali virtù Roma fosse divenuta potente e come i vizi siano sempre causa di rovina.

Ma più che il secolo della prosa quello di Augusto fu il secolo della poesia; fra i poeti c'è infatti un gruppo (Gallo, Tibullo, Properzio, Ovidio, Orazio, Virgilio) capace di rendere immortale tutta la letteratura di un popolo.

Cornelio Gallo fu uno dei più grandi eligiaci latini. Tutta la sua vita e la sua poesia furono piene dell'amore per Volumnia, chiamata dal poeta Licoride, che certamente fu anche il tema dei suoi Amores andati purtroppo perduti.

Albio Tibullo pare che fosse invece un valoroso soldato; in realtà però egli era nato per la quiete della campagna e per l'amore. Nella sua poesia maledisse infatti le armi e lodò i campi.

Delia fu la donna che a lungo dominò la sua fantasia, diventato però conscio a poco a poco della sua infelicità, il poeta fu vittima di scatti di ira e gelosia. Ma egli amò negli ultimi anni della sua vita anche un’altra donna: Nemesi,una cortigiana avida, alla quale, sebbene avesse cercato di resistere, la passione lo tenne a lungo legato.

Tibullo fu in fondo un poeta dall'anima semplice e, tolto il fosco della sua passione per Nemesi e i brevi tumulti di gelosia ispiratagli da Delia, fu il desiderio di pace e di amore a caratterizzare la sua poesia.

Sesto Properzio fece anch’egli parte del circolo di Mecenate; il suo nome è legato a quattro libri di elegie nei quali elogiò Mecenate ed Augusto, cantò la vittoria di Azio e narrò le leggende dell'antica Roma. Erotica è la maggiore parte della sua poesia, piena dell'amore per Cintia, che gli ispirò una passione indomabile; il poeta stesso disse che sarebbe morto di quest'amore, ma la morte di Cintia mise fine alle sue passioni.

Noto come romanziere erotico fu inoltre Ovidio, grazie ai suoi tre libri dell' Ars amatoria nei quali dette insegnamenti sull’amore, non quello puro, ma quello frivolo, raffinato e sensuale: i primi due libri, rivolti agli uomini, insegnano come si conquisti e conservi l'amore delle fanciulle; il terzo è invece rivolto alle donne alle quali viene insegnato il modo di farsi amare.

All'Ars amatoria sono strettamente legati i Remedia amoris, in cui Ovidio insegna agli uomini con precetti ed esempi come essi possano liberarsi dal "giogo dell'amore".

Le Metamorfosi sono invece una collana di trasformazioni tratte dalla mitologia greca e romana sviluppate e ravvivate dal poeta, in cui Ovidio coglie il personaggio nell'atto della metamorfosi e fa sentire lo spaventoso stupore della coscienza di un uomo che senza più poter gridare e disperarsi, si trasforma via via per inesorabili e orribili adattamenti in corpo di altra natura; ma oltre che della trasformazione fisica, Ovidio si occupò anche dello stato d'animo che accompagna la metamorfosi che risulta estremamtente diverso in tutti gli episodi.

L'ultima voce della sua poesia fu quella dell'esilio, la cui causa è ancora incerta: era infatti già da tempo nota la sua fama di romanziere erotico, quando un ordine di Augusto eliminò tutte le sue opere dalle biblioteche e lo costrinse in esilio sulle rive del Mar Nero. Lì il poeta stanco e sofferente, si lamentò nelle sue tristi elegie del luogo nel quale era costretto a vivere e pensò con nostalgia alla lieta vita di Roma e alla moglie, invocando la clemenza di Augusto. 

C’è un’estrema differenza tra i sottili canti degli Amores e questi stanchi lamenti, ma sia negli uni che negli altri Ovidio si rivela il più grande poeta elegiaco di Roma.

Quando fu Orazio ad entrare sulla scena poetica, l’unico genere a non avere degni cultori era la satira ed egli, volendo primeggiare, la scelse anche per soddisfare il suo temperamento.

Arricchì il genere poetico con elementi autobiografici e creò piccoli capolavori in quei brani che narrano vicende sue e dei suoi amici, ma le satire oraziane sono anche note per le molteplici scene della vita romana. Manca però l'invettiva, perché pur disgustando la vita di Roma Orazio si limitò a deriderla mostrandocene gli aspetti turpi.

Per lo spirito satirico che si avverte in alcune di esse, le Epistole furono considerate una continuazione delle Satire: in queste ultime però è il giovane Orazio che si affaccia sulla scena della vita osservandone i vizi; mentre nelle prime, scritte nella maturità degli anni, il poeta preferisce la quiete nell'aria non viziata della campagna.

 

Sono invece le Bucoliche la prima opera poetica di Virgilio, che gli concesse tra l’altro la fama e l’ingresso nel circolo di Mecenate. In dieci ecloghe il poeta, discepolo ideale di Teocrito, ha voluto cantare un mondo agreste che fa meravigliosamente rivivere in maniera armoniosa. La campagna in cui è nato e ha vissuto, da cui è stato cacciato e verso la quale tende nostalgicamente, rivive nella sua opera senza naturalmente mancare di riferimenti all’attualità: Virgilio stesso fu infatti vittima della confisca dei poderi attuata da Augusto per la retribuzione dei veterani, ed è proprio questa la situazione vissuta da due contadini nella I e nella IX ecloga.

Le Georgiche sono poi l'apoteosi del lavoro, il libro dell’Italia di Augusto che, uscita dalle sterili guerre civili, si riabilita nella pace e nell'attività. L’opera è un poema didascalico nel quale la terra è il multiforme scenario e l'agricoltore è l'eroe: il cielo e le divinità non sono però spettatori, ma attori che rendono più solenne l'azione. Bellissimi episodi e descrizioni rendono inoltre più vario e colorito il quadro del poema.

Con l' Eneide, infine, Virgilio unì la leggenda di Enea alla storia di Roma, celebrò le origini della città che sono anche quelle della stirpe di Augusto e cantò le fortunose vicende dell'eroe troiano come quelle di un uomo destinato dai Numi a dar principio alla potenza romana. Il vero protagonista dell’opera è quindi il Fato che si serve di Enea perché sia compiuta la sua volontà di dar principio alla grandezza di Roma.

L'autore dei poemi bucolici e georgici e quello del poema epico nazionale sembrano essere dunque due personalità distinte ed opposte, eppure il poeta è uno: Virgilio infatti non ama la guerra anche se ne canta le battaglie, ma la considera invece una dura necessità e una parentesi nella pace universale.

Basta quindi pensare ad opere come la Divina Commedia, fondamento della letteratura italiana innegabilmente ispirata ai testi di Virgilio, e al De Architectura di Vitruvio che servì da ispirazione per artisti come Leonardo e Brunelleschi per capire che la grandiosità dell’età augustea non si noti soltanto dall’insigne numero di personalità artistiche e politiche che accolse, e dalle opere che queste ci hanno lasciato, ma soprattutto dal fatto che essa sia stata, in tutti campi della cultura, fonte di ispirazione e interesse durante tutte le epoche successive.

 

 

Renata Vinci IV AL