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Economia

 

Il commercio dei metalli nobili, era un pilastro degli affari cartaginesi. Nella capitale nordafricana si vendeva e si comprava quello che si poteva smerciare da qualche parte. Gli abitanti del Libano erano stati considerati come i pionieri del commercio. Essi avevano portato i prodotti delle loro industrie anche in zone dove persino una perlina di vetro passava per oggetti di valore. A questa pratica si tennero a lungo anche i Cartaginesi, i quali furono, e rimasero, anzitutto specialisti di affari coi popoli sottosviluppati e del baratto. Ciò spiega, perché cominciarono a coniare monete solo nel IV secolo a.C., con tre secoli di ritardo sui Greci e sugli stessi compatrioti fenici.

I mercanti stranieri potevano esercitare indisturbati i loro negozi a Cartagine al pari dei colleghi locali: dovevano solo accettare che le merci da loro importate venissero riesportate da navi cartaginesi. La Punia deteneva una sorta di monopolio dei traffici nel bacino occidentale del Mediterraneo ed era risoluta a conservarlo. Le navi cartaginesi trasportavano vasi corinzi; loro agenti risiedevano a Siracusa e probabilmente anche in altre città siciliane. Cartagine esportava stoffe colorate, tappeti, bigiotterie, amuleti, uova di struzzo dipinte, vetro, armi, vasellame e profumi, ma nessuno di questi prodotti sembra fosse particolarmente rinomato per qualità;  importava soprattutto beni di prima necessità dalle sue colonie che li fornivano a buon mercato: grano dalla Sardegna, vino e olio dalla Sicilia e pesce dal Marocco occidentale; ricambiando le colonie con una notevole assistenza. In Sardegna, Cartagine promosse infatti la coltura dell’ulivo e del lino, introducendovi forse anche la palma e fondando grandi vetrerie. Sotto il suo governo, Malta fiorì a centro commerciale abbastanza ricco da poter consolidare colonie proprie.