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Seconda Guerra Punica

  Mentre Roma era impegnata a estendere e consolidare i suoi domini in Italia, Cartagine ebbe modo di riprendersi. In quel periodo a Cartagine si fronteggiavano due partiti: uno pacifista, sostenuto dai grandi proprietari terrieri che non avevano alcun interesse a mettere a repentaglio le loro proprietà in una nuova e dispendiosa guerra; l’altro espansionista rivolto invece a ricostruire l’impero fondando nuove colonie, e ponendosi in questo modo, inevitabilmente, di nuovo in conflitto con Roma. Prevalse il secondo partito cosicché Cartagine in pochi anni si trovò padrona di buona parte della Spagna, regione ricchissima di risorse minerarie e nella quale poteva arruolare un forte esercito di mercenari. Nel 221 a.C. il comando dell’esercito spagnolo passò ad Annibale, che sarebbe diventato il più pericoloso nemico di Roma. Egli, che fu forse il più abile condottiero della storia antica, non solo era animato da un odio personale contro Roma, ma era altresì convinto che una seconda guerrasarebbe stata inevitabile e che quello era il momento in cui Cartagine poteva sperare di vincerla. La strategia di Annibale si fondava su alcuni presupposti politici, che furono a un passo dal condurlo alla vittoria finale; egli riteAnnibale, il più pericoloso nemico di Romaneva infatti che le popolazioni italiche sottomesse a Roma (Greci, Etruschi, Galli, Sanniti) avrebbero salutato Cartagine come liberatrice a patto che ad ognuna fosse stata restituita l’antica autonomia. In pratica si trattava di disfare la Lega pazientemente tessuta da Roma e riportare alla primitiva indipendenza le etnie sottomesse: in tal modo i Cartaginesi non sarebbero stati considerati nemici e stranieri, ma liberatori. Inoltre Annibale contava con una «guerra lampo» di  sfruttare le qualità del suo esercito, piccolo ma  addestratissimo, e come prima Roma aveva tentato di portare la guerra alle porte di Cartagine, così ora Annibale pensava di assalire l’Italia, cosa che del resto era indispensabile per la riuscita del suo piano: solo la presenza di un esercito cartaginese vittorioso avrebbe infatti potuto incoraggiare alla ribellione le popolazioni italiche. Su queste premesse, Annibale iniziò una serie di provocazioni allo scopo di costringere Roma a dichiarare guerra. I patti tra Roma e Cartagine prevedevano che tutto il territorio a sud dell’Ebro fosse cartaginese, ma nel 219 a.C. Annibale decise di aggredire la città di Sagunto che, pur trovandosi oltre l’Ebro (e quindi in zona assegnata ai Cartaginesi), era anche una città amica di Roma. Sagunto venne espugnata e tutta la popolazione fu passata a fil di spada: evidentemente Roma non poteva assistere senza intervenire alla distruzione dei suoi alleati; così fu dichiarata guerra a Cartagine e il console Scipione fu spedito con un esercito per bloccare Annibale in Spagna.

Senza attendere oltre, però, Annibale si diresse verso l’Italia. La sua marcia fu così rapida che i Romani non riuscirono a intercettare l’esercito cartaginese prima che questo giungesse in prossimità delle Alpi, che furono valicate superando giganteschi ostacoli. Annibale conduceva in Italia un esercito di 20 mila soldati e 6 mila cavalieri, tutti professionisti della guerra e perfettamente addestrati. La prima fase della guerra volse decisamente a favore dei Cartaginesi e l’esercito romano fu più volte sconfitto.

Un’ondata di terrore investì Roma. Furono distrutti i ponti sul Tevere per impedire al nemico l’accesso alla città e venne nominato un dittatore nella persona di Quinto Fabio Massimo, un anziano esponente dell’aristocrazia terriera: costui evitò accuratamente una battaglia frontale (che in caso di sconfitta avrebbe portato Annibale, ormai assai prossimo a Roma, ad assediare la città). Fabio si limitò a controllare le mosse di Annibale impedendogli il vettovagliamento e l’accesso alla valle del Tevere. Annibale piegò verso la Puglia, dove stabilì i suoi quartieri d’inverno. A Roma nel frattempo prevalse la strategia di affrontare subito Annibale: le precedenti vittorie dei Cartaginesi erano state frutto di imboscate e di colpi di mano, ma non si pensava che l’esercito romano potesse essere sconfitto in uno scontro a campo aperto.

Fu quindi allestito un grande esercito, con il quale i nuovi consoli andarono ad affrontare Annibale; per qualche tempo i due nemici si fronteggiarono nella pianura pugliese, nel luogo che già da tempo Annibale aveva scelto come campo di battaglia. Fu presso il villaggio di Canne (non lontano da Barletta) che i Romani subirono la più terribile delle sconfitte: quasi tutto l’esercito, più di 70 mila uomini, cadde in battaglia. Perì anche uno dei due consoli, Paolo Emilio, mentre l’altro, Varrone, riuscì a tornare a Roma con un piccolo seguito.  

Uno schema che mostra le due fasi della battaglia di Canne combattuta nel 216 a.C.

 presso il fiume Ofanto e descritta dallo storico greco Plutarco

Annibale liberò senza riscatto i prigionieri italici, nella speranza di ingraziarsi con quest’atto a favore delle popolazioni; in effetti sembrò che la Lega italica si disgregasse. Lucani e Sanniti si ribellarono mentre anche Capua, la seconda città d’Italia che si trovava a poche decine di chilometri da Roma, aprì le porte ad Annibale.

Ben lontano dall’idea di chiedere una tregua o di accettare una pace di compromesso, il governo romano prese ogni provvedimento possibile per organizzare la resistenza e passare alla controffensiva: venne richiamata alle armi tutta al popolazione atta a combattere. La situazione sembrava però disperata; ad Annibale si unirono anche Siracusa e il re di Macedonia, Filippo V.

In queste decisive settimane, l’atteggiamento esitante di Annibale contribuì alla salvezza di Roma. Infatti, il generale cartaginese rinunciò ad assalire direttamente Roma e si limitò ad occupare la campagna stabilendo i suoi quartieri d’inverno a Capua.

Roma ebbe pertanto la possibilità di riorganizzarsi; innanzitutto allestì un esercito e lo inviò contro Siracusa; un altro esercito fu inviato in Spagna, mentre il resto delle forze romane rimase a controllare Annibale, senza tuttavia rischiare una nuova battaglia.

Roma strinse inoltre un’alleanza con le città greche nemiche di Filippo V e in tal modo impedì che i Macedoni sbarcassero in Italia per dare mano forte ad Annibale.

Ma fu soprattutto la solidità della lega italica a dare la salvezza a Roma: infatti Latini, Etruschi, e molte altre popolazioni dell’Italia centrale rimasero fedeli a Roma. La maggior parte degli Italici comprese che un dominatore straniero sarebbe stato di certo un padrone molto peggiore, e del resto i vincoli di solidarietà e gli interessi comuni tra Roma e i suoi più antichi alleati avevano ormai cementato l’unione.

Così il momento peggiore passò; Annibale era ormai ridotto alla difensiva anche per lo scarso aiuto che i Cartaginesi gli offrivano a causa degli intrighi del partito pacifista guidato da Annone. Negli anni successivi la situazione si ribaltò: Siracusa fu assediata e, malgrado la resistenza alimentata dalle macchine belliche inventate dall’architetto Archimede, fu infine presa (212 a.C.) e saccheggiata dai Romani.

Successivamente anche Capua venne riconquistata e punita terribilmente per dare un esempio terrorizzante.

La svolta decisiva della guerra si ebbe però in Spagna, che era la base della potenza e  dei rifornimenti di Annibale; quando il comando fu assunto dal giovane Publio Cornelio Scipione, i Romani presero decisamente il sopravvento: la stessa capitale della Spagna cartaginese, Cartagena, fu conquistata (210a.C.). Pochi anni dopo, una parte dell’esercito cartaginese, comandata da Asdrubale, fratello minore di Annibale, riuscì però a sganciarsi e a penetrare in  Italia. Il pericolo sarebbe stato grave, se queste forze fossero riuscite a unirsi ad Annibale: furono però intercettate e sconfitte nelle Marche, presso il fiume Metauro (207 a.C.) e lo stesso Asdrubale restò ucciso in battaglia.

La fase finale del conflitto si ebbe quando Roma preparò un esercito da inviare in Africa, sotto il comando di Scipione. L’impresa fu accolta con diffidenza dal Senato. Scipione fu però autorizzato ad arruolare un esercito composto di volontari, in massima parte italici, con cui sbarcò in Africa e iniziò le operazioni.

Con l’aiuto dei Numidi, al cui re Massinissa fu promesso un regno, Scipione acquisì la supremazia nella cavalleria, l’arma che sino a quel momento aveva costituito il segreto dei successi di Annibale. Ormai alle strette, Cartagine dovette richiamare Annibale, che abbandonò così l’Italia dove si trovava da più di 15 anni e dove era giunto a un passo dalla vittoria finale. Nel 202 a.C. gli eserciti di Annibale e Scipione (che pochi giorni prima si erano invano incontrati per giungere a un accordo) si affrontarono a Zama. Nonostante tutti gli sforzi di Annibale e delle sue truppe, la vittoria fu dei Romani; a Cartagine non restava altro che chiedere la pace, con la quale dovette rinunciare a ogni possesso al di fuori dell’Africa, consegnare la flotta e pagare una fortissima indennità di guerra. Inoltre, le fu vietato di dichiarare guerra senza il consenso dello Stato romano. Scipione rifiutò cavallerescamente di chiedere la consegna di Annibale e rientrò a Roma, dove celebrò un grandioso trionfo e per la vittoria riportata ricevette il soprannome di Africano.

  La II Guerra Punica (218 - 202 a.C.)

Ormai padroni del Mediterraneo occidentale, e quindi del traffico commerciale, i Romani estesero il loro volume di affari, diventando una potenza politica ed economica la cui prosperità dipendeva dal dominio incontrastato dei mari.

In questa prospettiva, gli Stati Ellenistici erano perciò inevitabilmente oggetto di un progetto di conquista.

Roma si trovò davanti ad avversari tra loro nemici, e sfruttando abilmente la situazione riuscì in breve tempo a imporre il suo dominio su tutto l’Oriente: un dominio che suscitò varie ostilità. I Romani, infatti, si intromettevano continuamente nelle questioni interne delle diverse città, intervenendo militarmente in favore dell’una o dell’altra fazione a discapito degli interessi dei partiti democratici. Le città greche, scontente di queste situazioni, chiesero aiuto ad Antioco, re di Siria che già conduceva una politica aggressiva  e che non esitò quindi a sbarcare quindi in Grecia col suo esercito. Lo scontro con Roma era inevitabile e si concluse con la vittoria dei Romani che imposero durissime condizioni al re siriano. Roma, ora, rivolgeva le sue mire espansioniste verso la Macedonia, che fu conquistata e smembrata in quattro repubbliche nel 168 a.C.

 

 Roma, dopo aver consolidato il suo dominio nel Mediterraneo occidentale

Roma, dopo aver consolidato il suo dominio nel Mediterraneo occidentale, rivolse le sue mire espansionistiche verso

l'oriente; intraprese, quindi, una serie di guerre contro gli stati ellenistici, approfittando, spesso, delle loro

controversie interne per intervenire a sostegno degli uni o degli altri. In particolare l'esercito romano fu duramente 

impegnato contro Siria e Macedonia