“Un atto di profonda inciviltà” così è stata definita l’uccisione di Saddam, il dittatore iracheno, impiccato all’alba del 30 dicembre 2006.

Il mondo sopporta soltanto una parola, amore, uguale a pace, eppure in molti Paesi è ancora in vigore la pena di morte.

 

Sembrava una mattina come tante altre, quella del 30 dicembre dello scorso anno.

Ma dopo essermi alzata e dopo aver svolto tutti quei piccoli gesti quotidiani che completano la routine di tutti i giorni, qualcosa  di ben più grande e più profondo ha bussato al mio cuore: la notizia della morte del dittatore iracheno Saddam Hussein. Mi resi conto allora che fino a quel momento avevo rifiutato di accettare ciò di cui, ormai da giorni, tutte le TV e tutti i giornali del mondo trattavano con insistenza.

Fu come se in quel momento il mondo si fosse fermato e la vita di quell' uomo fosse diventata la cosa più importante. “Assurdo!” sentii dire a mio padre che, dall’altra stanza accettava a malincuore quell’atroce verità. Rimasi per un attimo immobile, fu come se nella mia mente tutte le crudeltà da lui commesse fossero state cancellate e vidi, su quello schermo, gli occhi tristi e rassegnati di un uomo che, consapevole, si appresta a morire.

“Com’è possibile?”, fu l’unica cosa che riuscii a dire dopo qualche istante di esitazione…Ripensai a tutto ciò che, sin dalla mia nascita, mi fu insegnato, a ciò che la chiesa ci insegna: “La vita, il più grande dono di Dio”. E dunque, Saddam non era forse anche lui un figlio di Dio?

Oggi, a distanza di 13 giorni, con maggiore distacco e oggettività, ripenso anche al male da lui commesso, al dolore provocato a migliaia e migliaia di persone, alle vittime alle quali ha negato la vita, ma nonostante questo non accetto la sua condanna.

Avrei voluto urlare al mondo che quella era stata una grande ingiustizia, qualcosa per la quale ci saremo puniti per il resto della nostra vita. Ma come posso io, che ho solo 17 anni, fare in modo che la mia voce venga udita? Non mi resta che riempire questo foglio bianco, esprimendo ciò che dal profondo il mio animo sente, sperando che il mio possa essere un appello alla sensibilità degli uomini, quelli stessi uomini che, a causa del torto subito, soffrono e rischiano di lasciarsi trasportare da uno spirito di vendetta che a nulla porta, che certamente non riporterà in vita le vittime di tanta crudeltà.

La pena di morte è qualcosa di intollerabile.

In nessun caso, e ci tengo a sottolineare queste parole, la vita di un uomo può essere strappata al disegno di Dio. Solo Lui può e deve decidere per noi.

Si è sollevata una forte questione sul fatto che siano state trasmesse le immagini del momento dell’uccisione di Saddam, allora mi chiedo: perché mai il mondo non avrebbe dovuto assistere a quelle dure immagini? Non siamo stati noi a volerlo?

Dobbiamo essere consapevoli delle nostre azioni e delle loro inevitabili conseguenze, e forse quello di mostrarci l’accaduto è stato l’unico modo per allargare il nostro cuore e farci comprendere la cattiveria della nostra condanna.

Vorrei che tutti cessassero di provare rancore e che la parola “perdono” venisse incisa, lettera per lettera, nel cuore di ognuno di noi.

 

Felicetta Carroccetto 

Classe III C  Liceo scientifico “E. Fermi”

Anno scolastico 2006/2007