Altre feste e funzioni religiose

A gennaio si celebra la festa di S.Antonio Abate nell’omonima chiesa. Dopo la Messa e la processione, nel pomeriggio, si svolge la consueta benedizione degli animali.

Nel mese di marzo, oltre alla già nominata festa del Crocefisso, si svolge ogni venerdì, nel periodo di Quaresima, la via Crucis.

Ad aprile si ricorda la liberazione d’Italia dal regime nazista e la festa di S.Marco Evangelista.

Il mese di maggio è dedicato interamente alla Madonna, si celebra la festa di Maria S.S. Annunziata.

Nel mese di giugno si celebra la festa del "Corpus Domini" e , in questa occasione il paese viene adornato con i caratteristici "altarini".

Ad agosto, si festeggia la Madonna Assunta.

Nel mese di ottobre si celebra la festa di S. Francesco nel convento dei Frati Minori cappuccini.

A dicembre si celebra la festa dell’Immacolata e a partire dal 16 dicembre la Novena alle ore cinque del mattino. La tradizione della Novena risale al 1600.

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    Artigianato a S.Marco d’Alunzio

A S.Marco d’Alunzio l’attività artigianale, che negli anni passati era intensa, ultimamente ha subito un certo rallentamento. Interessanti sono le attività della cardatura, filatura, tessitura, manufatti di lino e lana, merletti e ricami. Si pratica anche la lavorazione della ferla, con la quale vengono fabbricati sgabelli rustici, leggeri e resistenti; con la canna e con le verghe di salice e castagno sono realizzate ceste,panieri e canestri.

Il giunco viene utilizzato per intrecciare recipienti destinati ad accogliere il formaggio e la ricotta appena preparati. La principale fonte di reddito, tuttavia è ancora oggi costituita dall’agricoltura (vigneti, oliveti,ortaggi…) e dall’allevamento degli ovini e dei bovini che fornisce carni e formaggi apprezzatissimi, che possono essere gustati nei ristoranti o acquistati dagli stessi produttori. Fiorente, infatti, è la produzione casearia. Essa è stata, almeno in origine, l’attività esclusiva dei pastori perché parte integrante delle loro mansioni giornaliere.

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    La produzione casearia

I processi di caseificazione possono essere così brevemente illustrati: il latte, munto la sera precedente, viene versato in grossi pentoloni di rame stagnato ("quarari o "quaddaruni", larghe e concave alla base e più strette verso il collo) e portato ad una temperatura di 35°- 40°; a questo viene poi aggiunto del latte appena munto, filtrato per mezzo di un "culaturi" per liberarlo dalle impurità. A questo punto si aggiunge il caglio (latte contenuto nelle budella di capretto o di agnello, che era stato lasciato per un periodo di circa tre settimane "a riposare" affinché gli acidi compissero la loro azione), fatto sciogliere nell’acqua calda e poi versato nel latte. Si forma la "quagliata". L’operazione immediatamente successiva è denominata "rumpiri a quagghiata". Il coagulo formatosi viene, appunto frantumato per essere liberato dal siero in eccesso. A tal proposito viene impiegata una grossa frusta (detta "ruotola o "arrimaturi") che consiste in un ramo lavorato in modo tale che una delle estremità presenti rametti secondari incurvati che formano una specie di gabbia. Il pastore, allora, immerge le mani nella caldaia, riunificata la cagliata frantumata e la lavora fino ad ottenere un impasto compatto di formaggio; questo viene riposto nelle fiscelle e a loro volta sono poste su un gocciolatore ("mastredda"). È questa la "tumma", formaggio tenero, biancastro, da consumare in tempi brevi. Ultimata questa prima fase di operazioni, il pastore procede a preparare la ricotta, utilizzando il siero rimasto a giacere nella "quarara"; quando il siero posto nuovamente sul fuoco, raggiunge una temperatura di 50° circa, viene aggiunto del latte, del sale e un rametto di fico tagliuzzato per favorire la fuoriuscita del lattice che consente il nuovo coagulo. Poco dopo la ricotta affiora delicatamente ("arricuotta ciurìa"), viene raccolta con un cucchiaio di legno quasi piatto, per agevolare la perdita del siero, e posta in recipienti di giunco ("fasciedda"). Portata a termine anche questa operazione, il pastore riutilizza una parte della "tumma" che, attraverso ulteriori manipolazioni, diviene quell’apprezzato formaggio che è il caciocavallo. La preparazione di questo latticino, a pasta acida e filata, è affidata ai pastori più esperti, poiché richiede forza e perizia. I prodotti agricoli, frutto di tecniche tradizionali, conservano intatto il fascino di un gusto antico che può essere apprezzato in tutti i piatti gastronomici. Tra i prodotti di campagna primeggiano il vino rosso della Catena, perfetto per accompagnare carne e selvaggina, e la produzione di olio, caratterizzato da un forte colore giallo, da un aroma fruttato, da un sapore e un odore delicato.

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    La lavorazione del lino

 

Un’altra attività, che per molti anni ha rappresentato un fattore economico a S.Marco e nel territorio nebroideo, è la produzione del lino. I semi del lino, "linusa", venivano seminati il 24 settembre, dopo aver preparato e zappato finemente il terreno. A maggio la pianta del lino fioriva. I frutti maturati "cucuzzieddi" contenevano all’interno semi lisci, scuri, lucenti, permeati di olio. Quando la pianta diventava gialla, simile al colore dell’oro, si raccoglieva "a manate" (un pugno pieno) si adagiava al suolo, infine quando si asciugava, si raccoglieva a tre "manate" componendo così la "manne". Quando il lino si essiccava si provvedeva battendolo, a tagliare le sementi"linusa" che servivano per le semine successivi e per esportarle perché ricercate. La "linusa" veniva battuta sopra una coperta ("razzata") e qui si provvedeva a dividerla dalla paglia ("ciusca") battendola a poco a poco con una cesta ("crivu") dall’alto, in modo che il vento portasse via la "ciusca", la "linusa", più pesante, cadeva sulla "razzata" restando pulita. La pianta del lino veniva messa da parte e dopo cinque giorni veniva raccolta e fasciata. Il 29 di luglio si trasportava al fiume dove si preparava il "pantanu" (fosso scavato pieno d’acqua), si faceva riempire di acqua e si metteva il lino a bagno per qualche giorno, fino a quando la "cuddura" (tre fili di lino intrecciati) posandola sulla superficie dell’acqua del "pantanu" non calava sott’acqua, a quel punto il lino era pronto, si tirava fuori dall’acqua e si stendeva con le cime verso l’alto ei tronchi ("zucchi") verso terra e si lasciava asciugare. Quando il lino era asciutto, si trasportava nella propria abitazione. Ai primi di settembre il lino veniva "battuto" con delle mazze di legno "mazzuoli", fino quando la pianta non si piegava e non si intravedeva il lino all’interno; a quel punto la pianta veniva introdotta, dalla parte delle cime nel mangano e veniva manganata, poi sempre dalle cime, si passava alla prima cardatura sul cardo (attrezzo con chiodi usato per raffinare il lino). Da questa operazione il lino si divideva dalle teste che servivano per riempire i materassi e i cuscini venduti a volte a persone che si dovevano sposare. Il lino continuava a essere manganato e cardato fino a quando non diventava morbido. Da questa operazione veniva fuori la "stuppa" grossa che, filata, serviva per la tessitura delle "razzate" e per ricavare i sacchi per raccogliere il frumento. Il cuore del lino, invece, veniva spatolato e passato sulla "rizza" (ricavato dalla pelle del riccio). Da questa operazione si ricava la "stuppa" fina che serviva per la tessitura delle lenzuola e delle tovaglie.

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    L’allevamento

 

L’allevamento degli ovini e la conseguente produzione di latte, carne e lana ha, fino a poco tempo fa costituito uno dei fattori economici rappresentativi nelle comunità nebroidee compreso S.Marco d’Alunzio. Ancora oggi anche se in quantità minore rispetto al passato sono presenti nel territorio allevatori di ovini, per cui è possibile trovare formaggi e carni genuine, provole appetitose, ricotta fresca appena "quagghiata". La lana a causa delle innovazioni tecnologiche, non ricopre più un ruolo primario ma viene ricercata unicamente da alcune fabbriche per realizzare materassi ortopedici con mezzi all’avanguardia. Da tempi remoti la lana è servita agli uomini per la produzione di filati.

La tosatura delle pecore avviene e avveniva nei mesi di giugno, luglio. Il vello tosato dopo una sommaria pulizia veniva arrotolato, legato e conservato in luoghi freschi, lievemente umidi e all’oscuro. I compratori che erano per lo più le massaie, provvedevano a lavorare la lana fino a quando risultava priva di impurità. Successivamente veniva stesa al sole e fatta asciugare. La lana ben calda veniva prima "sciamminata" (allargata) con le mani e poi avvolta alla "cunuocchia" per poi essere filata con il fuso. Si ricavavano così, lavorando la lana con i ferri, calze, magliette; "razzati" e filati vari tessendola.

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    Il baco da seta

 

La semente dei bachi da seta ha l’aspetto di sabbia grigiastra. Ogni granello è un piccolo uovo che schiudendosi con il caldo dà vita a un insetto. A questi animaletti si preparava la foglia del gelso bianco ben asciutta e triturata che essi mangiavano avidamente. Quando diventavano grossi (più o meno dalle dimensioni del dito mignolo), si arrampicavano su ramoscelli di ravizzare e di erica. Qui facevano il bozzolo, cioè si rannicchiavano in una specie di piccolo uovo formato dalla bava che usciva dalla loro piccola bocca, la seta. Nel bozzolo il baco si trasformava in bruco o crisalide. Le sue trasformazioni non finivano qui, il bruco metteva due alette, diventava bianchiccio, bucava il bozzolo e veniva fuori, ma non volava via in quanto il corpo grosso e le ali piccole glielo impedivano. Si contentava di battere le ali restando al sua posto, dove deponeva le uova dalle quali l’anno seguente nascevano nuovi bachi. Altre due persistenti forme di attività artigianali sono i lavori all’uncinetto e la tessitura dei tappeti, oggi praticata in proprio. Modesta è la lavorazione del ferro e del legno. I prodotti più richiesti sono infissi interni ed esterni e mobili rustici. Alcune persone per hobby praticano anche la lavorazione artistica del legno.

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    La gastronomia

 

S.Marco d’Alunzio non è solo una città d’arte e di cultura, ma è anche un paese molto ospitale, caloroso e accogliente. La cucina è genuina, invitante e sana, con prodotti locali tipici: maccheroni al sugo di carne, maiale, salsicce, antipasti caserecci, olive, salumi, formaggi pecorini, ricotta, olio, vino, grigliate di carne alla brace, agnello a forno con patate novelle, polli ruspanti farciti, frittelle con "finocchi" e "giri", funghi ripieni, sott’olio preparati in casa con olio di oliva, caponata……..

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    Le attività industriali a S.Marco d’Alunzio

 

A S.Marco d’Alunzio il settore industriale è poco sviluppato. C’è qualche industria di estrazione e lavorazione del pregiato marmo rosso venato di bianco. Sebbene non del tutto dismessa, l’attività ha subito una forte flessione per la crisi che ha investito le attività economiche e un forte flusso migratorio. Una volta vi erano quattordici cave che estraevano tra i 100 e i 1200 metri cubi di marmo, utilizzato come decorazione. Con esso fu costruito parte del municipio di Messina. Negli ultimi anni è sorta anche un’industria tessile per confezioni che impiega circa venticinque lavoratori.

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    Scoperte archeologiche

 

Il recente ritrovamento di alcune tombe nei pressi della chiesa di S.Giovanni, richiama l’attenzione degli studiosi su S.Marco d’Alunzio. A ridosso della chiesa sono venute alla luce alcune tombe con dei resti ossei, teschi ed ossa lunghe durante la sistemazione di una strada vicina. Verosimilmente le tombe appartenevano all’adiacente chiesa la cui costruzione si fa risalire intorno al ‘400. Ma la scoperta più importante di questi ultimi tempi è da riferire al rinvenimento di una probabile villa gentilizia, forse risalente all’Alto Medioevo. Si notano chiaramente le divisioni murarie e l’assetto dell’impianto. Anni prima furono portate alla luce nella stessa zona delle cisterne ellenistiche.

Nell’area del complesso monumentale della chiesa di S.Teodoro sono state scoperte delle cisterne di epoca medievale. Esse costituivano una considerevole risorsa idrica per gli abitanti della zona che vi potevano attingere nei periodi di magra o durante gli assedi nemici. A fianco della chiesa è stato scoperto un pavimento in cotto decorato a mosaico con tessere bianche riferibile al periodo ellenistico romano.

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    "Gemellaggio europeo" del museo bizantino

 

Il museo della "Cultura e delle Arti Figurative Bizantine e Normanne" situato presso la chiesa di S.Teodoro, pur essendo uno degli ultimi aperti in Sicilia, ha già ottenuto un notevole riconoscimento da parte della Comunità Europea. Nel quadro del programma comunitario «Raphael», degli oltre 8000 progetti presentati alla Commissione Europea solo 500 hanno superato la prima fase, e di questi ne sono stati finanziati solo 30 distribuiti tra i 15 Paesi membri della Comunità Europea. Si tratta di un successo quasi insperato, visto che il piccolo comune nebroideo si è trovato a competere con città come Parigi, Vienna, Atene, Amsterdam,Lisbona. Infatti S.Marco d’Alunzio è risultato il partner "pilota" più piccolo d’Europa, con i suoi 2300 abitanti è la più piccola città d’Europa ad avere ottenuto il finanziamento di un progetto a cooperazione internazionale. Inoltre è previsto il restauro di alcuni affreschi bizantini del paese, utilizzando tecniche di restauro all’avanguardia attraverso la collaborazione scientifica e tecnica dei partner viennesi e greci e sotto la guida della Sovrintendenza ai Beni Culturali e Ambientali di Messina.