Lavoro interdisciplinare svolto dalla Classe III D indirizzo Scientifico
nell'anno scolastico 1999/2000
Il passaggio dalla scrittura amanuense
alla
produzione a stampa
Fino
ad allora avevo pensato che ogni
libro
parlasse delle cose, umane o divine, che
stanno fuori dai libri.
Ora
mi avvedevo che non di rado i libri parlano di libri, ovvero è come se parlassero tra
loro. (Umberto
Eco, “Il nome della rosa”) |
Se
pareba boves, alba pratalia araba, et
albo versorio teneba, et negro semem seminabat. “Spingeva
avanti i buoi (le dita), arava
i bianchi prati
(i fogli della pergamena), teneva
un aratro bianco (la penna d’oca) e
seminava un seme nero (l’inchiostro). (Indovinello
veronese) |
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Produzione e diffusione del libro in Italia
Il libro può essere annoverato tra i più grandi tesori dell’uomo, tra le più geniali invenzioni dell’umanità.
Sfogliare le sue pagine vuol dire ripercorrere gli anni del passato, conoscere il pensiero di filosofi, scrittori e poeti, scoprire gli ideali e i valori che hanno guidato gli uomini nel corso della civiltà.
Sì, è vero! Potremmo anche ascoltare i racconti dei nostri nonni, ma “verba volant, scripta manent”.Oggi i libri sono i nostri vecchi:
essi ci consentono di vivere, insieme alla nostra, innumerevoli altre vite, prolungano la nostra esistenza nel tempo, arricchendoci di esperienze e sviluppando la nostra capacità critica.
I libri aiutano a maturare il pensiero, stimolano e appagano la curiosità intellettuale, ci consentono di collocarci ad un certo gradino della scala sociale, ma soprattutto, come sostiene lo scrittore e saggista Umberto Eco, allungano la vita.
Grande è il valore del libro nel Medioevo in quanto non solo res, ma metafora, universo, conoscenza. Il libro: universo che reca scritta la verità del suo Creatore; coscienza o, secondo Dante, memoria; cosmo che unisce bellezza e armonia per S. Agostino.
Manoscritto:
dal latino manu scriptus,-um, scritto a mano.
Libro:
che cosa vuol dire?
Nelle
diverse lingue l’equivalente della parola “libro” indica i diversi
materiali che in luoghi e tempi diversi gli uomini usarono per scrivere.
Greci Biblos: | “Biblos” era la corteccia del papiro, la pianta da cui Egiziani e Greci traevano il loro particolare tipo di carta. Il papiro è una pianta che ha bisogno di molta acqua e che originariamente cresceva lungo le sponde del Nilo. Poi gli Arabi la acclimatarono in Europa ed essa crebbe con successo in Sicilia. |
Latini Liber Italiani Libro |
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Francesi Livre: | “Libro” è un termine botanico e indica la parte interna del fusto di un albero. I Romani ne traevano le tavolette cosparse di cera usate per scrivere lettere, appunti e i compiti di scuola dei ragazzi. Oggi usiamo il “libro” per trarne la cellulosa che occorre per fabbricare la carta. |
Tedeschi Buch | |
Inglesi Book: | Due parole anglosassoni che significano “bosco”. Inglesi e Tedeschi le adottarono quando già in Europa si sapeva fabbricare carta da cellulosa. |
Cinesi King | |
Russi Kniga: | I Russi hanno preso la parola che vuol dire “libro” dai cinesi. Essa voleva dire “seta”, e di seta fu infatti per secoli il materiale scrittorio. |
La storia della parola “libro” ci permette dunque di risalire alla storia del materiale per scrivere.
La forma più antica del libro a mano fu nel mondo mediterraneo il rotolo di papiro, usato già dagli Egizi e poi adottato dai Greci e dai Romani.
Il papiro fu la materia scrittoria più diffusa nell’antichità,
fornita dalla parte interna, bianca e spugnosa del fusto di papiro, che veniva
tagliata in sottili liste, poi sovrapposte, incrociate e bagnate; il telaio così
ottenuto veniva pressato ed eventualmente, per renderlo più liscio e sottile,
martellato o raschiato. Molti fogli di questa carta venivano poi incollati
l’uno accanto all’altro, così da formare una lunga striscia, poi
arrotolata: volumen. In esso, la scrittura era disposta, nel senso della
maggiore larghezza del rotolo, in colonne uniforme scritte le une accanto alle
altre e il rotolo stesso si leggeva avvolgendolo in senso orizzontale. La
faccia, sulla quale le fibre delle strisce di papiro erano parallele alla
scrittura, era detto “recto”, la faccia opposta “verso”.
I testi letterari, in edizione di lusso, o i documenti pubblici erano scritti
solo sul “recto”; ma dato l’alto costo della carta di papiro, si scrisse
normalmente sul “verso”.
I più antichi volumi greci di papiro conservati risalgono al IV secolo a.C. ; i
più antichi frammenti letterari latini su papiro sono invece del I secolo d.C.
, e provengono da Ercolano.
La scarsa disponibilità e la deteriorabilità del papiro spinsero ad adottare
una nuova materia scrittoria : la pergamena ricavata dalla concia di
pelli ovine e caprine. Il centro di maggiore produzione era Pergamo, città
dell’Asia Minore, al cui re si attribuiva leggendariamente il merito
dell’invenzione. Possessore di una biblioteca famosa, egli sarebbe stato
costretto, dalla proibizione del faraone di esportare il papiro, a procurarsi
materiali scrittori alternativi. La pergamena rimase in uso fino a quando lo
scarseggiare di pelli animali non ne ridusse la produzione facendone lievitare i
costi.La soluzione viene data dalla diffusione della carta. Dalla lavorazione di
stracci, in particolare di lino, si ricavava una pasta fluida, che, colata in
stampi di formati prefissati, veniva pressata sino alla solidificazione. I fogli
così ottenuti potevano essere prodotti in quantità pressoché
illimitate e a costi e tempi ridotti.
PRODUZIONE E DIFFUSIONE DEL LIBRO IN ITALIA
Alto
MedioEvo
Nel VI secolo l’Italia visse un momento di instabilità politica che vide
susseguirsi la dominazione ostrogota, l’annessione all’Impero d’Oriente ed
infine l’invasione longobarda. In seguito alla caduta dell’Impero
d’Occidente, le istituzioni scolastiche entrarono in crisi determinando un
vertiginoso aumento dell’analfabetismo tra le masse.
La diffusione sociale del libro, che era destinato ad un pubblico colto e
raffinato (esponenti della classe senatoria, funzionari imperiali ed
intellettuali) perché considerato un bene di lusso, rimane sempre più limitata
alle classi elevate.
Durante la dominazione ostrogota il mondo degli intellettuali era ancora
profondamente legato alla cultura classica e la produzione libraria era molto
simile ai modelli antichi. Il libro manoscritto nell’antichità era di due
formati: il Volumen, o Rotolo, ed il Codex, o Codice. Il Volumen
si
otteneva incollando sottili e lunghe strisce di papiro una di seguito
all’altra avvolgendole attorno ad un cilindro di legno. Il Codex era
realizzato mediante la cucitura di più fascicoli formati da fogli di pergamena
piegati.
I codici italiani databili a questo periodo furono realizzati presso officine
laiche, gli scriptoria, ma anche in centri monastici. La Chiesa dovette
infatti contribuire notevolmente all’affermazione della scrittura come mezzo
di comunicazione, in quanto trova la sua ragione di essere dalla parola di Dio
fissata nel libro per eccellenza: la Bibbia.
Col passare del tempo, durante il periodo bizantino e longobardo, gli unici scriptoria
rimangono quelli religiosi. Il libro non era più un bene di lusso realizzato a
scopo di lucro, pertanto è importante sottolineare che esso non era più
illustrato , ma semplicemente decorato con l’iniziale figurata. Inoltre fu in
questo periodo che la Chiesa, detentrice del monopolio della cultura scritta,
impresse al libro il valore di oggetto sacro.
I caratteri utilizzati nella stesura dei manoscritti subirono, nel corso dei
secoli, una grande evoluzione. La scrittura latina inizialmente era di tipo
maiuscolo e veniva chiamata capitale, dal latino caput, che
significa “inizio”. Essa era caratterizzata da forme rigide e da angoli
retti. Dall’originaria capitale arcaica si
svilupparono la capitale lapidaria o quadrata e la capitale libraria, che
venne usata nei manoscritti in papiro ed in pergamene e venne detta,
impropriamente, rustica. Quest’ultima era caratterizzata dal forte chiaroscuro
di orientamento obliquo, dal tratteggio sinuoso e dalla presenza di trattini
ondulati al termine delle aste.
In campo documentario ed usuale fu utilizzata invece la capitale corsiva,
nettamente diversa nel ductus e nel tratteggio dai due tipi già citati,
e rappresentata, nelle due diverse varietà (calamo e sgraffio), nei papiri,
nelle tavolette cerate e nei graffiti provenienti da molte regioni
dell’Impero.
Tra il III ed il IV secolo, con l’introduzione della minuscola, la scrittura
capitale venne progressivamente sostituita da quella onciale. Il termine deriva
dal latino tardo uncialis, che significa di un’oncia, alto
un pollice, ma è più probabilmente un derivato di uncus,
ovvero uncino.Il termine, usato per la prima volta da S. Gerolamo per indicare
forse una scrittura di grande formato propria dei codici lussuosi, è stato
variamente interpretato.Secondo alcuni starebbe ad indicare una scrittura in
forma di uncino, o simile al segno usato per indicare l’oncia. Secondo altri
una scrittura le cui singole lettere occupano la dodicesima parte di un rigo di
colonna, così come l’oncia occupa la dodicesima parte di un piede. Certo è
che esso fu adoperato dalla tradizione paleografica per designare in campo
latino, una scrittura libraria bilineare, caratterizzata dal rotondeggiamento
delle forme, da alcune lettere particolari (a, d, e, m) e dalla presenza di
diversi elementi capitali e minuscoli. L’onciale rimase la scrittura libraria
più usata almeno fino alla fine del VII secolo.
Con la dissoluzione dell’Impero e l’istituzione dei regni romanobarbarici,
l’onciale si diversificò. A questo stato di “particolarismo grafico” pose
fine, tra il XI ed il XII secolo, l’affermazione della minuscola carolina,
o rotonda. Essa era ariosa, elegantissima, rotondeggiante e facile alla
scrittura, essendo quasi del tutto priva di legamenti e di abbreviazioni.
Libri d'ore
(Chantilly, Musée Condé)
Nei primi secoli del Medioevo si credeva che nell’anno Mille vi sarebbe stata la fine del mondo; pertanto l’uomo non aveva più nessuno stimolo per migliorare la propria condizione e l’economia europea ristagnava a livelli molto bassi.
Superato l’anno Mille si assistette ad una ripresa economica, ad un processo
di rinascita delle strutture urbane e allo sviluppo di un’organizzazione
sociale più complessa. Tale ripresa economica provocò una maggiore richiesta
di cultura: gli uomini si aprivano sul mondo, viaggiavano, entravano in contatto
con civiltà più evolute, come quella araba. Le stesse pratiche commerciali e
bancarie, sempre più complesse, richiedevano individui esperti in contabilità,
veri specialisti nel loro mestiere. Ma c’era anche bisogno di notai ed esperti
di diritto. Le città vennero incontro a queste esigenze e favorirono la nascita
di università : così si chiamavano le corporazioni che raccoglievano la
“totalità” (universitas) dei maestri e degli studenti di una città.
Accanto alle “scuole della Chiesa” si affermavano dunque le “scuole delle
città”, che rappresentavano le esigenze di una cultura laica, maggiormente
collegata ad una realtà in movimento. Tutto ciò influì, sia
quantitativamente, sia qualitativamente, sulla produzione libraria. Accanto ad
un notevole aumento dei codici in circolazione, si determinò una
differenziazione nella tipologia dei codici stessi.
Il libro poteva avere diversi formati. Al pubblico colto, che utilizzava testi
biblici e teologici, trattati di filosofia e di diritto, erano destinati libri
di grandi dimensioni (30-40 cm), aventi il testo disposto su due colonne, note
ed ampi margini. Per la lettura e lo studio a livelli inferiori, venivano invece
impiegati libri di formato ridotto e meno curati esteticamente. Dal punto di
vista delle tecniche di produzione, si registrò tra il XII e il XIII secolo,
l’introduzione di una nuova scrittura. Essa venne impropriamente chiamata nel
Rinascimento “gotica”, con l’allusione ai goti, simbolo del sopravvento
della barbarie sulla tradizione latina. I caratteri gotici costituirono
un’evoluzione di quelli di tipo carolino, favorita dall’introduzione di
particolari tecniche e strumenti scrittori, quali la penna a punta mozza.
Caratteristiche generali della gotica erano il tratteggio fortemente
contrastato, la netta spezzatura delle curve, la tendenza a inscrivere le
singole lettere in una struttura idealmente esagonale, la compattezza dello
scritto e la frequenza delle breviature.
Oltre all’introduzione della scrittura gotica cambia anche l’intero ciclo di
lavorazione del libro, che si svolgeva ora in città ed era affidato a
“maestranze” laiche.
Negli ambienti universitari circolavano le peciae, cioè fascicoli
contenenti le trascrizioni delle lezioni o dei testi exemplaria approvati
dall’università.
La produzione di peciae era regolata da un controllo di tipo ideologico
che fissava le tariffe dovute agli “stationarii”. Questi ultimi,presenti in
tutte le università, fungevano da intermediari tra il proprietario del codice e
il cliente, e percepivano una percentuale sul prezzo di vendita o di prestito
del codice o della singola “pecia”.
è da
questo momento che ebbe inizio il declino dei grandi “scriptoria” monastici
e il libro riacquistò valore di merce, come nel mondo antico.
I primi esempi di letteratura volgare si diffusero attraverso due diversi tipi
di codici. Da un lato i codici “cortesi”, scritti in caratteri gotici e
riccamente miniati, realizzati da amanuensi professionisti e destinati al
pubblico raffinato delle corti signorili, dall’altro, quei libri simili ai
registri mercantili e spesso trascritti, in caratteri corsivi, personalmente da
coloro che volevano entrarne in possesso.
Fu proprio nei libri autoscritti che iniziò ad essere adoperata la carta in
sostituzione della pergamena. I primi codici della Divina Commedia si
presentarono con le caratteristiche del libro-registro. Boccaccio adottò i
caratteri formali che caratterizzavano il tradizionale libro in latino di tipo
universitario (grande formato, ampi margini, testo scritto in gotica testuale e
disposto su due colonne). Petrarca , invece, si propose di cercare nuove
soluzioni formali in modo da rendere più leggibili gli scritti. Criticò i
caratteri gotici giudicandoli troppo faticosi e poco comprensibili e, dopo aver
elaborato una nuova scrittura detta semigotica, più arrotondata e influenzata
da elementi della carolina, tentò di introdurre un formato più piccolo e
maneggevole, che egli stesso adottò per alcune sue opere.
Fra il XIV e il XV secolo, contrariamente a quanto stava ormai avvenendo in Francia, Inghilterra, Spagna e Portogallo, in Italia non si formò uno stato nazionale forte ed accentrato. Nel centro-nord le feroci lotte interne ai comuni facilitarono la presa del potere da parte di singoli individui che fondarono dinastie, procurandosi poi, per concessione del Papa o dell’Imperatore, un titolo nobiliare che giustificasse la loro usurpazione. A questo tipo di potere personale di un “uomo solo” si diede il nome di “Signoria”. Il signore allargò poi il territorio della città e nacquero così gli Stati regionali, di dimensioni inferiori agli Stati Nazionali Europei.
Anche nel ‘400 vennero prodotti diversi tipi di libri: i libri da “banco” (di grande dimensione e di fattura estremamente accurata, destinati alle chiese, alle corti principesche e ai ricchi bibliofili), quelli da “bisaccia” (finalizzati allo studio), e quelli da “mano” (per lo più libri d’ore, di piccolo formato).
Dalla scrittura semigotica utilizzata dal Petrarca si sviluppò, accentuano l’imitazione della carolina, una nuova scrittura che gli umanisti chiamarono littera antiqua,in quanto ritenuta la scrittura stessa dei romani. Essa non fu l’unica scrittura usata dai copisti quattrocenteschi. Si utilizzò per i testi scolastici e umanistici, ma la gotica rimase comunque la scrittura preferita per la Bibbia, i testi liturgici, le opere giuridiche e filosofiche prodotte nell’ambito dei centri universitari. L’eleganza dell’umanistica rotonda influenzò anche le scritture corsive di tipo documentario, che acquistarono maggiore leggibilità e chiarezza.
L’umanistica corsiva, nata probabilmente nella cancelleria pontificia, fungerà da modello, insieme con la rotonda, per i caratteri utilizzati per la stampa che sarà sicuramente una delle invenzioni più importanti del Rinascimento. Essa venne inventata verso la metà del ‘400 da Giovanni Gutenberg, un orefice tedesco, figlio di coniatori di monete e di medaglie. Egli fu certamente un inventore geniale, ma la lunga storia della stampa, dei suoi procedimenti e dei suoi materiali, non cominciò con lui, bensì molti secoli prima, e non in Europa, ma nel lontano impero cinese.
Se la stampa fosse dipesa solo dall’invenzione di un modo per riprodurre in serie lettere, numeri e gli altri segni della scrittura, certamente sarebbe stata introdotta in Europa assai prima. Essa infatti si basava su un principio piuttosto semplice. Per riprodurre ad esempio la lettera A per un numero illimitato di volte, bastava costruire un “punzone” di metallo duro (bronzo, acciaio), incidere con esso una “matrice” in metallo più tenero (ad esempio ottone) e colare, nella cavità ottenuta, del piombo fuso che raffreddandosi avrebbe formato il “carattere tipografico”. Questo carattere era uno dei tanti che si potevano ottenere, tutti uguali, da una stessa matrice, essi poi venivano riposti in appositi cassetti, e dopo averli inchiostrati si premeva sopra un foglio, sul quale si sarebbe ottenuta la riga stampata. Questo procedimento fu chiamato “stampa a caratteri mobili”.
Così cominciò l’avventura del libro stampato. In molte città europee sorsero tipografie che poi divennero famose. Ma come operavano questi tipografi editori? A chi vendevano i libri? Che cosa stampavano e quali erano i profitti?
Essi non ebbero mai una vita troppo facile e molto raramente raggiunsero i guadagni di un mercante di lana o di un importatore di spezie. Il pubblico, quando nacque la stampa, non si allargò tanto da consentire all’attività che stava nascendo di accumulare grandi profitti.
La verità è che allora mancavano due cose fondamentali per un’ampia diffusione dei libri: le scuole frequentate da un numero consistente di alunni e un’efficiente organizzazione commerciale. Solo alla fine del ‘600 in molti paesi europei si cominciò a riorganizzare l’intero sistema d’educazione elementare e secondaria e le scuole non furono più riservate ad una ristrettissima fascia di popolazione. Quanto all’organizzazione commerciale, solo dopo alcuni anni, i produttori cominciarono faticosamente a costituire una rete di vendita sull’esempio degli artigiani della lana, della carta e degli altri prodotti.
Tra il ‘500 e il ‘600 la diffusione del libro fu affidata a venditori ambulanti di stampe popolari (almanacchi, editti reali, libretti di proverbi, stampe satiriche, ecc..) che fornivano a richiesta al pubblico più qualificato i cataloghi di grandi editori. L’ordinazione veniva poi fatta per posta.
L’invenzione della stampa fu, dunque, uno degli eventi che cambiarono la marcia della storia: da allora la diffusione delle idee divenne più rapida, cominciò a cambiare la mentalità degli Europei, mentre altri grandi mutamenti si stavano preparando.
Con la diffusione della stampa, gradatamente andò diminuendo l’uso della miniatura per illustrare i libri. Per questa esigenza si usarono per la stampa soprattutto le incisioni con acquaforte e soltanto qualche volume di maggior pregio poté essere miniato a mano, dopodiché questa grande tradizione che per tutto il medioevo aveva prodotto piccoli capolavori d’arte figurativa andò lentamente esaurendosi.
Offiziola
Pagina voluta da Gian Galeazzo e Filippo Maria Visconti miniata da Belbello
(Firenze, Biblioteca Nazionale)
Da minimum, il rosso cinabro usato dagli antichi amanuensi per titoli, iniziali e riquadrature di pagine, fu detta in Europa, fin dal X sec., l’arte di ornare con fregi, figure e scene delineate a penna e dipinte con l’acquerello. Si possono trovare degli esempi già nei papiri degli antichi Egizi per poi proseguire con quelle che ornano le opere di Terenzio Varrone, ma senza dubbio la miniatura tocca il suo culmine durante il MedioEvo, dove i libri miniati rappresentavano i veicoli della diffusione della cultura. Inscindibili dalle vicende della Pittura bizantina sono quelle della miniatura, da cui dipendono la scuola siriaca e copta.
Nei secoli VII e VIII una svolta essenziale nella storia del libro miniato si determina nelle isole britanniche e nella Francia merovingia: al commento figurato, scopo essenziale a cui il miniatore subordina sempre la decorazione della pagina, per quanto deliziosa, subentra infatti un’assoluta autonomia dell’ornato; l’immagine naturalistica si stilizza secondo le esigenze della scrittura che, nello sviluppo delle iniziali, elabora astratte composizioni lineari. Nei manoscritti irlandesi si innestano anche figure zoomorfe ed antropomorfe con un fantastico gioco di metamorfosi. Questi ebbero larga diffusione nei monasteri del continente, dove vennero presi a modello dai monaci amanuensi: qui, però, l’ornato si sviluppa in regolari forme geometriche.
Nel IX sec. la miniatura subisce una profonda depressione, a causa della crisi iconoclasta, superata la quale, però, rifiorisce sotto l’impulso orientale del naturalismo alessandrino che si affermerà sempre più nell’aulico splendore dei testi sacri ed alimenterà le scene di carattere bucolico o mitologico. Alla fine del IX sec. il centro politico e culturale dell’Occidente si sposta in Germania e l’eredità carolingia si trasmette ai miniatori ottoniani. Frattanto, in Inghilterra ed in Spagna, i miniatori sostituiscono, al naturalismo classico, un potente espressionismo. Dell’arte ottoniana e dei suoi sviluppi è tributaria, nei secoli X ed XI, l’Italia settentrionale. Dalle abbazie del Meridione, invece, escono libri liturgici dai caratteristici intrecci di foglie e di animali stilizzati, che rielaborano motivi anglo-irlandesi, bizantini e musulmani. Alla pittura bizantineggiante si rifà la miniatura umbro-romana di cui sono tipiche le Bibbie atlantiche, diffuse anche in Toscana e Lombardia. Come la miniatura italiana dipende da quella orientale , così gli scriptoria francesi si rifecero, nei secc. X ed XI, alla miniatura inglese (anche se qualche spunto iconografico giunse anche dalla Spagna). All’inaudita ricchezza delle iniziali istoriate, le monumentali Bibbie inglesi del XII sec. uniscono un colore denso ed un disegno vigoroso che, evidentemente, richiama i modelli della scultura romanica, diffusa in quel periodo. E dall’Inghilterra, verso la fine del secolo, si diffondono quei bestiari che, nell’eleganza calligrafica del disegno a penna saranno carissimi anche al gusto gotico. Ma il Duecento ravviva il fulgore della miniatura francese.
L’evangelario della Sainte-Chapelle ed i due Salteri di San Luigi, nell’accordo finissimo di rosa e turchini rialzati dai bianchi puri sull’oro, sono i primi capolavori dei miniatori francesi. Alla fine del secolo, in Italia, si determina il superamento dei modelli bizantini: a Bologna, intorno all’università, fervido centro culturale, fioriscono i testi giuridici, splendidamente ornati, che innestano sul ceppo ottoniano l’arabesco lineare del gotico francese, con risultati di straordinario vigore formale e di evidenza narrativa; i codici bolognesi si diffondono largamente in tutta la Penisola e giungono persino in Spagna.
Il Trecento vede ancora la Francia primeggiare sulle altre nazioni: Parigi è il massimo centro della miniatura.
Dal comune linguaggio gotico maturo emerge l’originalità narrativa della miniatura lombarda; gli artisti della corte viscontea di Pavia utilizzano la fantastica bizzaria, l’estrema eleganza, il fasto fiabesco cari al gotico internazionale.
Poco oltre la metà del Quattrocento, la pittura si afferma dappertutto come precedente e modello del libro istoriato; dall’Angelico al Mantenga, da Pisanello a Piero della Francesca, sono le tavole e gli affreschi a suggerire spunti iconografici ed innovazioni stilistiche ai miniatori, sebbene costoro, come avviene, ad esempio, a Ferrara, sapranno rielaborarli profondamente e ritrasmetterli fornendo nuovi aspetti. Non a caso, proprio Ferrara, risulta essere il centro vitale dell’ultima miniatura nell’Italia settentrionale. Nel frattempo, a Firenze, la miniatura, conclusa l’esperienza gotica nelle fiammeggianti immagini dell’Antifonario di Lorenzo Monaco, sempre più limpidamente dichiara, pur nell’inesausto fiorire delle cornici decorative, nelle figure e nelle scene, ai vari Pollaiolo, Botticelli, Lippi, il suo debito nei loro confronti.
Nel corso del XV sec., la miniatura continua rigogliosissima in Francia, e
continuano a dipendere da essa sia l’Inghilterra durante e dopo la guerra dei
Cento anni, sia il Portogallo e la Spagna. Noti o tuttora avvolti
nell’anonimato, i miniatori francesi svolgono un’attività intensissima e
diramata in numerosi gruppi, arricchendo le pagine dei libri, ancora memori del
Trecento senese, ad un prezioso naturalismo ed allo spirito drammatico
dell’arte tardogotica. Intanto lo sviluppo autonomo del ducato di Borgogna,
solo nominalmente vassallo di Francia, favorisce lo sbocciare della miniatura
fiamminga, ultimo fiore della società cortese. Gli attivissimi miniatori
francesi divulgano per tutta l’Europa l’esuberante decorazione dei margini
che sempre più riduce lo spazio riservato al testo. Ne è un esempio
celeberrimo il tardo Codice Grimani. Nel XVI secolo si assiste ormai al
declino della miniatura nonostante ci siano state trasmesse alcune mirabili
opere di gusto classico: abbiamo in Italia le mirabili Ore liete ed il Messale
del Cardinal Della Rovere, in Francia Les Grandes Heures d’Anne de
Bretagne.
C. Segre e C. Martignoni - "Testi della storia 1" - Ed. Scolastiche Bruno Mondadori, Milano 1991
V. Calvani e A. Giardina - "Dentro la storia 2" - Arnoldo Mondadori Scuola, Milano 1990
"Lessico Universale Italiano" - Istituto dell'enciclopedia italiana fondata da Giovanni Treccani, Roma
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Archivio parrocchiale della Parrocchia di "S. Nicolò di Bari" di S. Marco D'Alunzio
Grande dizionario enciclopedico UTET, fondato da Pietro Fedele IV edizione