“In questi tempi di consumismo sfrenato c’è ancora chi muore di fame e di stenti”

Rifletti e argomenta su questo pensiero, pronunciato, durante il periodo di Natale 2006, da Papa Benedetto XVI.

 

 

Difficile essere originali parlando di argomenti di cui si discute spesso, argomenti di cui si è detto tutto, ma in verità si è fatto davvero poco.

Preistoria, Medioevo, Rinascimento, tante le epoche e gli eventi che si sono succeduti, fino ad arrivare ai nostri giorni; tanti i progressi in ogni campo, dalla scienza alla tecnologia, dalla genetica alla medicina, eppure non tutto è cambiato. Assurdo da dire e persino da pensare, ma ancora oggi, nel 2007, c’è chi muore di fame e di stenti. E non parlo di casi eccezionali o sporadici; ma di crudeli realtà che si verificano costantemente e forse, chissà, anche perennemente. La verità è che questa società assediata dal benessere, dal tutto e subito, dall’egoismo, dal permissivismo illimitato, dal cinismo dei più forti, ha dimenticato i suoi valori e i suoi principi; ha dimenticato che la vita non è fatta solo di beni materiali, ma anche di qualcosa di più profondo e di più importante.

Ma come possiamo capirlo se nella nostra quotidianità ci occupiamo solo di noi stessi e di quelli che definiamo problemi? Bisognerebbe fermarsi un attimo a pensare. Bisognerebbe capire che nel mondo non si ergono solo grattacieli; accanto a questi vi sono le cosiddette “favelas”, le periferie delle grandi città dove la gente vive (e a causa delle cattive condizioni igieniche muore) nelle baracche. Sud-Africa, America Latina, India: solo alcuni dei Paesi dimenticati, in cui milioni di persone vivono, o sarebbe meglio dire sopravvivono, a stento. Uomini, donne e bambini, che non hanno cibo, acqua e tutti quei beni di prima necessità che permettono di arrivare a fine giornata. E non bisogna poi dimenticare le condizioni in cui vivono i bambini, le vere vittime di questa atroce realtà. Bambini che tra le mani non hanno giocattoli, ma attrezzi da lavoro e sui loro visi non si leggono sorrisi e spensieratezza, ma i segni del dolore e della fatica. A questa gente uno spiraglio di speranza è dato da alcune associazioni di volontariato o da alcuni missionari che trascorrono la loro esistenza aiutando il prossimo, rinunciando a loro stessi. Però sono pochi, troppo pochi rispetto a coloro che soffrono. Facile parlare, difficile agire. È anche vero che, comunque, non possiamo fare molto per aiutare questa gente, ma è giusto, anzi doveroso, da parte nostra non ignorare e dimenticare. Affinché questo non avvenga, mi piacerebbe riprendere le parole di un grande scrittore, Primo Levi, poeta,  per dire all’intera umanità:

 

“Voi che vivete sicuri

Nelle vostre tiepide case,

Voi che trovate tornando a sera

Il cibo caldo e visi amici:

Meditate che questo è…”

 

                                        Maria Teresa Varotta

                                        Classe III C  Liceo scientifico “E. Fermi”

Anno scolastico 2006/2007