IL VIAGGIO COME METAFORA NELLA LETTERATURA

 

Per l’uomo i viaggi non sono mai stai fini a se stessi: nati inizialmente per scopi economici e commerciali tra le civiltà del bacino del Mediterraneo, assumeranno con la nascita della letteratura in Grecia, un significato più profondo.

Omero ad esempio, uno dei maggiori esponenti della cultura ellenica, incentra su un lungo viaggio il suo poema epico Odissea per mostrarci Ulisse, "quell'uom di multiforme ingegno che molto errò".

Re di Itaca, nonché ideatore dell’inganno del cavallo di Troia, Ulisse viaggiò per ben dieci anni, affrontando mille avventure e disavventure per far ritorno in patria. Uomo dalla personalità ricca e complessa, Ulisse è intelligente, astuto e leale, ma anche sensibile alla nostalgia della patria e della famiglia lontana, legato ai valori della tradizione, e allo stesso tempo curioso, attratto da nuovi incontri, e desideroso di conoscere e sperimentare sé stesso anche a scapito della sua sicurezza e della sua pace. Per questo il personaggio di Ulisse è rimasto così impresso nella memoria letteraria di tutti i tempi e ha dato spunti interpretativi a grandi poeti e scrittori.

Lo stesso Dante infatti riprenderà la figura di Ulisse dandogli un motivo in più per viaggiare: l’Ulisse dantesco racconta infatti nel XXVI canto dell’Inferno di aver sentito, una volta rientrato in patria, l’irrefrenabile bisogno di conoscere nuove cose, che lo spinse ad abbandonare la sua Itaca e a ripartire con la sua ciurma per scoprire cosa si nascondesse oltre le colonne d’Ercole, ritenuto allora il confine del mondo.

Di questo canto si ricordano i versi "considerate la vostra semenza:/fatti non foste a viver come bruti,/ma per seguir virtute e canoscenza" coi quali Ulisse convinse i suoi compagni ad intraprendere il nuovo viaggio e che sono diventati ormai il simbolo dell’irrefrenabile bisogno di conoscenza dell’uomo che lo spinge tutt’oggi a intraprendere nuove ricerche anche al di fuori del pianeta Terra.

Ma i riferimenti al viaggio nella Divina Commedia di Dante non mancano; la stessa opera è tutto sommato un viaggio intrapreso dall’autore perché investito da Dio della missione di indicare all’umanità la via della salvezza; per questo deve attraversare i tre regni dell’oltretomba, esplorare il male concentrato nell’inferno, cercare l’espiazione e la purificazione nel purgatorio e ascendere in paradiso sino alla visione diretta di Dio; tornato in terra potrà così insegnare agli uomini come ritrovare la "retta via" smarrita.

Attraverso questo viaggio Dante ha inoltre modo di conoscere un’infinità di personaggi storici ognuno con la propria vita, i propri peccati o le proprie virtù, così da non far mancare neanche una visione critica della situazione politica e sociale dei suoi tempi.

Un letterato italiano che invece sembra interessarsi ben poco ai viaggi è Ariosto,che nonostante sia la tipica figura dell’intellettuale cortigiano del ‘500, ripugna la rigidità e lo sfarzo della vita di corte che è costretto a frequentare solo per avere un sostentamento economico; egli preferisce invece la libertà di poter scrivere senza avere obblighi nei confronti dei signori, nonché la vita sedentaria, infatti, come dice in una sua satira indirizzata al cugino, dopo aver conosciuto diversi luoghi italiani si accontenta di conoscere il resto del mondo semplicemente dalle carte geografiche ("…il resto della terra,/senza mai pagar l’oste, andrò cercando/ con Ptolomeo…")

Per quanto riguarda la letteratura francese, Le Voyage au bout de la nuit, scritto da Louis Ferdinand Céline nel 1932, è un grido di rivolta contro l’orrore del mondo e la bestialità dell’uomo. E’ una sorta di romanzo picaresco che traccia le avventure sordide di un medico che non portano da nessuna parte se non verso il buio e ciascuna tappa di questo viaggio infernale è l’occasione per denunciare gli orrori della società: il colonialismo in Africa, l’affermazione del capitalismo in America, la povertà della periferia parigina, la meschinità e la cattiveria dell’uomo, tutto visto attraverso un pessimismo fondamentale nutrito dall’ansia della morte.

In Inghilterra invece si sviluppa ancora prima l’idea di viaggio come mezzo di critica verso la società, quando nel 1726 Jonathan Swift pubblica "Gulliver’s travels",il suo capolavoro avvilito al livello di classico umoristico per l'infanzia, dove mette in ridicolo gli abusi e le incongruenze più appariscenti del suo secolo, e dove la sua amara e sferzante ironia giunge a coinvolgere, in un crescendo di indignazione ma soprattutto di risentimento, l'essenza stessa dell'umanità, da lui definita «la più perniciosa razza di ributtanti vermiciattoli cui la natura abbia mai permesso di strisciare sulla superficie della terra».

Una riproposta del viaggio omerico la abbiamo anche con lo scrittore irlandese James Joyce nel suo capolavoro Ulisse, redatto durante gli anni della prima guerra mondiale. Scritto in uno stile personalissimo, brillante, allusivo, ricco di parole arcaiche o coniate da radici diverse, tratte anche da altre lingue, e che si avvale largamente del monologo interiore, narra gli avvenimenti di una giornata a Dublino (il 16 giugno 1904) di vari personaggi che si incontrano a conclusione di vari spostamenti attraverso la città. Sovrapposti a quello realistico vi sono altri livelli, primo fra tutti quello epico omerico, cosicché l’opera diventa la sintesi simbolica dell'intera esperienza umana.

Un’ambientazione più attuale la troviamo in On the road di Kerouac uscito nel 1957, che narra del viaggio di due amici lungo il Texas e il Messico, che rappresenta in definitiva il viaggio verso il nulla, nel quale ciò che importa non è arrivare, ma andare, muoversi indefinitamente nella speranza per sfuggire a un’ansia e a un male di vivere sempre crescenti, e che è anche l’alternativa alle vie di fuga offerte da alcool e marijuana. Ritrae infondo il bisogno di ribellarsi, il valore dell’amicizia e la ricerca dell’autenticità che sono le coordinate di tutto un universo giovanile e che faranno di questo un libro di culto ed uno stile di vita per molte generazioni.

Stemma dell’inquietudine adolescenziale e dell’ansiosa ricerca di sé per altrettante generazioni fu anche Siddharta di Hermann Hesse: figlio di un bramino in un’India senza tempo,il protagonista si abbandona alla sperimentazione dell’ascesi che dovrebbe condurlo alla perfezione, accorgendosi ben presto che per uscire dal proprio io deve prima conoscerlo a fondo confrontandolo col mondo, cosa che lo spingerà a girovagare per l’India riempiendosi di esperienze, volti e spirito.

Tutto sommato infine, il viaggio viene interpretato dalla maggior parte degli autori secondo due principali punti di vista: può rappresentare infatti l’evoluzione di un personaggio che attraverso una serie di esperienze, reali o figurate, compie un cammino spirituale determinando un cambiamento che spesso coincide con un miglioramento; oppure può raccontare la scoperta di un mondo immaginario, un mondo ideale tramite il quale l’autore fa una critica dei costumi, della società o della politica dei suoi tempi. Ma comunque entrambi questi punti di vista lasciano intravedere la positività degli scopi che l’autore si prefigge e porteranno il lettore a conclusioni utili per le sue esperienze personali, lasciandogli quindi un’idea sempre piacevole e attraente del viaggio.

Renata Vinci IV AL