Il XIX secolo

 

L'Ottocento fu il secolo in cui gli ideali illuministi di diffusione della cultura si realizzarono attraverso una lenta modernizzazione della società italiana, che giunse a maturazione verso la fine del secolo, dopo il conseguimento, nel 1861, dell'unità nazionale. Il romanzo epistolare si affermò in Italia nella prima metà del secolo, con Le ultime lettere di Jacopo Ortis (uscito in più edizioni: 1798, 1802, 1816, 1817) di Ugo Foscolo (non a caso un'opera amata dai giovani patrioti italiani artefici dell'unità nazionale), mentre con I promessi sposi (1827, 1840-1842) di Alessandro Manzoni si impose il genere del romanzo storico.

La lenta diffusione del romanzo risponde a requisiti caratteristici di una società evoluta. Il pubblico della narrativa non corrisponde più a quello tradizionale della poesia, colto e aristocratico, dotato di un gusto raffinato e appartenente a una ristretta cerchia di letterati e specialisti. Chi legge romanzi e novelle deve anzitutto saper leggere, essere alfabetizzato; oltre questa soglia minima non occorrono altre competenze specifiche. Si capisce quali potenzialità di allargamento del pubblico dei lettori questa condizione prefiguri, a patto che vi sia appunto un'istruzione diffusa e capillare, che esista un'industria editoriale in grado di rispondere alla varietà delle richieste del mercato, che vi siano scrittori sensibili alle esigenze dei nuovi lettori. Tali premesse si realizzarono verso la fine del secolo, ma in campo culturale questa tendenza attraversò tutto l'Ottocento, a partire dalle prese di posizione di molti esponenti del romanticismo, contrastati, per la loro apertura verso le letterature straniere e verso i nuovi generi, dai fautori di un recupero dei modelli dell'antichità. È nel 1816, a Milano, che si costituirono gli schieramenti contrapposti dei classicisti, legati soprattutto alla rivista "Biblioteca italiana", e dei romantici, organizzati attorno ai "Conciliatore", diretto da Silvio Pellico e sostenuto, fra gli altri, da Giovanni Berchet. La discussione risultò animata anche per ragioni politiche: se nel complesso i romantici si possono definire liberali e fautori dell'unità nazionale, non pochi classicisti furono invece filoaustriaci.

 

 

     Neoclassicismo e romanticismo

 

Vincenzo Monti fu l'esponente di maggior spicco del neoclassicismo, l'intellettuale probabilmente più importante e influente nell'ambito dei circoli letterari di inizio secolo. Schieratesi dapprima su posizioni antifrancesi con opere come la Bassvilliana (1793), una cantica in terzine che narra l'assassinio dell'inviato francese a Roma Ugo Bassville, fu in seguito sostenitore di Napoleone. Sempre attento ai fatti contemporanei (celebre l'Ode al signor di Montgolfìer, 1784, artefice del primo volo aerostatico), fu ottimo traduttore. Di particolare rilievo è la sua traduzione in endecasillabi sciolti dell'Iliade di Omero.

Al contrario di Monti, Ugo Foscolo in un primo tempo acclamò Napoleone come l'eroe in grado di liberare l'Italia dal dominio austriaco, per poi mutare radicalmente opinione dopo il trattato di Campoformio (1797). quando la Francia cedette Venezia all'Austria. Con la restaurazione e il ritorno degli Asburgo, Foscolo visse la seconda parte della sua esistenza in esilio, e morì in Inghilterra. Il tema politico è decisamente rilevante nel romanzo Le ultime lettere di Jacopo Ortis, un'opera ispirata a I dolori del giovane Werther(1774) di Johann Wolfgang von Goethe. Nell'Ortis il protagonista Jacopo vive una doppia delusione che gli sarà fatale: quella per la cessione di Venezia all'Austria e quella che gli da l'amata Teresa, la quale, pur ricambiando il suo ardente sentimento, sposa per convenienza e in ossequio alla volontà della famiglia un altro uomo, assai mediocre. Il romanzo si chiude con il suicidio del protagonista, ribelle eroe romantico. Nel carme Dei sepolcri (1807) all'ideale di patria si affianca il culto dei pilastri ideali della civiltà. Libertà. rispetto per i defunti, esigenza di ispirare l'azione alle gesta e agli ideali dei grandi del passato, esemplarità dell'arte sono alcuni cardini di questa straordinaria poesia. Nelle incompiute Grazie, Foscolo celebra l'ideale della bellezza rasserenatrice dell'arte come suprema consolazione degli spiriti eletti. Con i Sonetti (celebri Alla sera, In morte del fratello Giovanni, A Zacinto) Foscolo conferma la sua statura di lirico, insieme con Leopardi, il più importante della prima metà del secolo.

Giacomo Leopardi è tra i maggiori poeti italiani di tutti i tempi. La sua eccezionalità è evidente sin dalla formazione. Nato a Recanati, nello Stato pontificio una delle zone economicamente e culturalmente più arretrate d'Italia, si costruì una cultura di respiro europeo e una serie di competenze straordinariamente approfondite. Come Foscolo, e come ogni grande scrittore. interpretò le correnti culturali del suo tempo in modo originale e personale. Si potrebbe infatti definire sia classicista sia romantico. Classicista per via del culto che tributò agli antichi, di cui fu esperto ammiratore, romantico per la sensibilità straordinaria con cui seppe scandagliare l'animo umano, intrecciando confessione autobiografica e sentimentale, passione civile e meditazione sul dolore e la solitudine. Fu autore di poesie inserite nel solco della tradizione (L'ultimo canto di Saffo, All'Italia), ma con gli Idilli fu anche l'artefice del superamento degli schemi metrici classici. Utilizzò infatti le strutture del sonetto e della canzone, ma con un sistema libero di rime e di versi. Per quanto riguarda la prosa, le Operette morali sono un'opera unica nell'ambito della letteratura italiana. La loro prosa è sapientemente modellata sui classici, ma le tematiche sono di stringente attualità; addirittura in anticipo sui tempi sono i problemi esistenziali di cui tutta l'opera di Leopardi tratta con acuta sensibilità e grande perizia letteraria.

L'opera in prosa più importante di questo periodo, per qualità, popolarità e numero di imitatori, è il romanzo storico scritto da Alessandro Manzoni, I promessi sposi. La storia del matrimonio contrastato dei due protagonisti, Renzo e Lucia, si svolge nel XVII secolo, epoca in cui l'Italia era dominata dagli spagnoli. L'allusione alla situazione contemporanea è evidente: la Lombardia, regione in cui la vicenda è ambientata, quando Manzoni scriveva era sotto il dominio austriaco. Ciò che rende particolarmente interessante il romanzo, tuttavia, è l'alto livello artistico raggiunto a fronte di una notevole facilità di lettura. La scommessa di Manzoni fu proprio questa: scrivere un romanzo complesso e ambizioso ma adatto anche a un largo pubblico. Così, una storia d'amore e d'avventura, e per questo avvincente, sentimentale ed eroica, e quindi commovente, commentata da un narratore bonario ma inflessibile, è interpretata da personaggi indimenticabili perché fortemente individuati e ben caratterizzati fra loro, appartenenti a classi sociali differenti e ognuno testimone di un modo diverso di vedere e interpretate il mondo, la sua cultura e i suoi valori. Ma la storia raccontata nel romanzo è anche una storia collettiva, che comprende episodi come quello della peste, un fatto storico che accomuna la sorte di poveri e ricchi, credenti e miscredenti. Tuttavia, perché questo insieme di ingredienti riuscisse a tradursi in un testo accessibile ai più, Manzoni dovette risolvere il problema della lingua letteraria da utilizzare. Problema di ardua soluzione, che infatti lo tormentò per decenni: si spiega soprattutto così la lunga gestazione del romanzo e le sue due edizioni, la prima delle quali uscì nel 1827. La soluzione fu il rifiuto di una lingua classicistica, modellata cioè sull'esempio degli antichi, a favore della parlata fiorentina. I promessi sposi sono l'ultima grande opera di Manzoni, il culmine di un percorso lungo e ricco di altre opere importanti. Fra le tappe più significative bisogna ricordare per primi gli Inni sacri, una raccolta di poesie dedicate alle grandi ricorrenze religiose, come Il Natale (1813) e La Pentecoste (1817-1822). L'idea di Manzoni consisteva nella scelta di tematiche non più aridamente classicistiche, ma religiose, e perciò profondamente sentite dal lettore. Dunque un immaginario vivo, vissuto in prima persona. Tematiche religiose e storia si intrecciano nelle due tragedie, Il Conte di Carmagnola (1820), vicenda di un condottiero quattrocentesco processato ingiustamente per tradimento, e l'Adelchi (1822), che racconta la storia dell'erede dell'ultimo re dei longobardi. Desiderio. Il pessimismo di queste due storie di innocenti condannati, che possono sperare solo nel riconoscimento ultraterreno del loro valore, nel romanzo si stempera, soprattutto grazie al concetto di Provvidenza, un'istanza alla quale anche l'uomo più disperato può fare appello. ricavandone consolazione e sollievo.

Tutt'altra scelta linguistica è quella di due autori molto originali, sia per ragioni formali sia per i contenuti delle loro poesie. Cario Porta scrisse in dialetto milanese, Giuseppe Giocahino Belli in romanesco. Entrambi si concentrarono soprattutto sul mondo popolare urbano, dando così voce e dignità a tematiche e personaggi ignorati dalla tradizione lirica italiana. Le poesie di Carlo Porta, fra le quali si ricordano Olter desgrazi de Giovannin Bongee (1812-13), La Ninetta del Verzee (1814), La nomina del cappellan (1819), rappresentano in modo straordinariamente efficace la vita della capitale lombarda. Protagonisti sono borghesi, popolani, nobili, laici e religiosi. Egli non si limita però a descrivere realisticamente la vita del suo tempo, ma critica con acutezza e spesso in modo implacabile il malcostume delle classi sociali che rappresenta, mettendone a fuoco luoghi comuni, atteggiamenti egoistici, grettezza culturale e umana. Con i Sonetti (composti prevalentemente tra 1830 e il 1837, e tra 1842 e il 1847. ma pubblicati, tranne pochissime eccezioni, solo dopo la morte del poeta), Giuseppe Gioachino Belii si dedica quasi esclusivamente al popolo romano, a personaggi che si lamentano spesso violentemente della loro misera condizione, e rappresenta i misfatti dell'amministrazione pontificia del tutto insensibile al problema della loro miseria.

Se. nella prima metà dell'Ottocento, con Francesco Domenico Guerrazzi, Massimo d'Azeglio e Tommaso Grossi la tradizione del romanzo fu rappresentata in sostanza dal romanzo storico, alcune opere di diverso carattere avviarono nuove esperienze letterarie. A questa fase di transizione appartengono ad esempio Fede e bellezza (1840, 1852) di Niccolò Tommaseo, Le confessioni di un italiano (1867, postumo) di Ippolito Nievo e Cento anni di Giuseppe Rovani (apparso a puntate sulla "Gazzetta di Milano", 1857-1858). Se il romanzo di Tommaseo si può definire sentimentale, le altre due opere sono interessanti sul piano della scelta narrativa. Si tratta infatti di storie che cominciano nel passato per approdare poi alla contemporaneità degli autori, la prima nella forma dell'autobiografia (Carlo Altoviti, quasi novantenne, racconta la sua vita attraversando la storia d'Italia), la seconda nella forma della cronaca corale (moltissimi personaggi quasi sempre storici, attraverso episodi, aneddoti, piccoli e grandi fatti rappresentano un secolo di storia). Ecco perché Le confessioni e i Cento anni si possono considerare romanzi di passaggio dal genere storico al romanzo contemporaneo. Si tratta di un passaggio emblematicamente presente nella biografia letteraria di un grande autore, Giovanni Verga, che esordì scrivendo un romanzo storico e patriottico, I carbonari della montagna (1861), ma trovò il successo con narrazioni ambientate nella società borghese dell'epoca (Eva, 1873; Eros, 1874; Tigre reale, 1875).

 

 

      L’epoca del positivismo

 

La cultura della seconda metà dell’Ottocento è caratterizzata da un’attenzione diffusa verso lo studio della realtà empirica. Gli scienziati ottennero straordinari successi in campo medico, fisico, matematico; il metodo sperimentale si impose a scapito delle teorizzazioni astratte; la tecnica cominciò a modificare sia il paesaggio rurale sia quello urbano: anche in Italia si svilupparono le ferrovie, come pure l'illuminazione a gas. C'è una parola che esprime il dinamico ottimismo dell'epoca: progresso. Le città attiravano manodopera proveniente dalla campagna, si sviluppò l'industria e nacque la cosiddetta "questione sociale": ben presto la diffusione del socialismo cominciò a preoccupare capitalisti e borghesi. Queste trasformazioni, sempre più accelerate, portarono dei cambiamenti anche tra le abitudini familiari: molta letteratura dell'epoca racconta proprio il riflesso di queste trasformazioni nel mondo della vita privata, del lavoro, dei rapporti fra i sessi.

In Italia il movimento di pensiero chiamato positivismo (una corrente filosofica che ha fra i padri il francese Auguste Comte e il britannico John Stuart Mill, e come rappresentante emblematico il naturalista Charles Darwin) ebbe fra i primi seguaci Cario Cattaneo, intellettuale attivo sia in campo politico (partecipò attivamente alle Cinque giornate di Milano del 1848), sia in ambito culturale (fondò un periodico tecnico, scientifico e letterario, "Il Politecnico"). Ma la cultura positivista dilagò nella seconda metà del secolo, investendo in pieno il mondo delle arti.

Giovanni Verga fu il maggiore esponente del movimento verista, originale corrispettivo del naturalismo francese. Dopo il successo conseguito con i romanzi mondani, la sua attenzione si spostò verso altri orizzonti. Nel 1874 pubblicò quello che definì un "bozzetto siciliano", Nedda. Si tratta di una novella ambientata nella campagna siciliana. Protagonista è l'omonima contadina, una giovane donna poverissima e disgraziata, la cui vita è funestata da lutti. Sia il tema sia l'ambientazione rimarranno caratteristici della ricerca espressiva del Verga verista, i cui capolavori sono due raccolte di novelle e due romanzi ambientati nella Sicilia nativa. Le raccolte Vita dei campi (1880) e Novelle rusticane (1883) tematizzano personaggi dell'universo rurale e storie emblematiche della cultura contadina. Ma centrale è la dimensione linguistica, resa funzionale alla particolare tematica. I Malavoglia (1881) risolvono il problema con particolare abilità tecnica: la storia di una famiglia di pescatori, ambientata nel piccolo borgo di Acitrezza, è raccontata da un narratore invisibile che si nasconde dietro ai vari personaggi di quel piccolo mondo. L'impersonalità del romanzo lo rende una storia corale espressivamente radicata nella terra siciliana: se le parole in dialetto sono relativamente poche, "siciliani" sono sia i molti proverbi (tradotti ma pur sempre tipici), sia i soprannomi dei personaggi ('Ntoni, la Longa, Maruzza), sia soprattutto la sintassi del romanzo. L'interesse tipicamente positivista per la realtà è ben manifesta in questo linguaggio, sperimentalmente aderente al parlato in senso decisamente antiletterario e anticlassicistico. In Mastro don Gesualdo (1889) la visione pessimistica di Verga è confermata: ai suoi occhi le magnifiche sorti del progresso mietono vittime incolpevoli, semplicemente più deboli degli altri. Ecco perché il ciclo romanzesco che lo scrittore concepì e lasciò incompiuto si sarebbe dovuto intitolare "ciclo dei vinti".

Fra gli estimatori dei Malavoglia vi furono Luigi Capuana e Federico De Roberto, entrambi scrittori cristi. Il primo fu anche critico letterario ed elaborò la poetica del movimento; il secondo è autore di un grande romanzo verista, I Viceré (1894). Nella seconda metà del secolo anche in Italia si andò affermando un nuovo ambito disciplinare, la critica e la storiografia letteraria: una società delle lettere allargata a un pubblico sempre più ampio ha infatti bisogno di intellettuali che indirizzino le scelte dei lettori. Si tratta di una disciplina nata già nel Settecento, ma con una fisionomia ben diversa: se per Girolamo Tiraboschi il termine letteratura includeva materie come la storiografia, l'erudizione. la biografia, già Francesco de Sanctis intendeva la materia in modo ben altrimenti selettivo, come dimostra la Storia della letteratura italiana (1870-1871), un’opera che rappresenta la prima importante ricostruzione interpretativa della nostra letteratura. Ma grande critico era già stato Ugo Foscolo, e dunque De Sanctis si inseriva in una tradizione di studiosi-scrittori già consolidata, che avrebbe avuto in Giosuè Carducci e in Giovanni Pascoli due altri esponenti di spicco.

Nonostante un certo numero di titoli, in Italia la tradizione del romanzo fu a lungo contrastata. In Francia fu determinante il successo del romanzo, in tutte le sue molteplici tipologie, colte e popolari, da quello raffinatamente psicologico di Gustavo Flaubert a quello d'appendice di Eugène Sue; altrettanto ampio e variegato fu il panorama del romanzo inglese, grazie anche alla sua diffusione sulla stampa periodica. In Italia fu invece l'opera lirica a ottenere straordinaria popolarità, e furono se mai i musicisti ad assicurarsi la collaborazione degli scrittori più popolari, da Giovanni Verga (Pietro Mascagni portò sul palcoscenico Cavalleria rusticana, tratta dall'omonima novella) ad Arrigo Boito, che lavorò per Giuseppe Verdi. In secondo luogo, alla fine del secolo si affermò, sviluppandosi all'interno del movimento letterario sperimentale della Scapigliatura, una tendenza narrativa di tipo antiromanzesco. Gli scapigliati si incontravano a Milano, capitale delle nuove tendenze culturali ma anche capitale dell'editoria di fine Ottocento. Perlopiù giovani, insofferenti della tradizione letteraria nazionale, retorica e imbalsamata, attenti ad autori stranieri come Charles Baudelaire, Edgar Allan Poe, E.T.A. Hoffmann. Heinrich Heine, Jean Paul, scrissero opere sintomatiche di questo malessere culturale. Basti pensare a romanzi come la Vita di Alberto Pisani (1870) di Carlo Dossi, che inizia dal quarto capitolo, con un forte effetto di disorientamento sul lettore, o alla protagonista di Fosca (1869) di Iginio Ugo Tarchetti, donna bruttissima e malata che ammalia il protagonista maschile, o alla Folla (1901) di Paolo Valera, romanzo corale che narra storie di pezzenti, prostitute e ubriaconi. Ma anche la poesia scapigliata mostra analoghi tratti di insofferenza per la tradizione e analoga attrazione per esperienze d'Oltralpe. Nelle poesie di Emilio Praga e di Arrigo Botto sfilano teschi e cadaveri, si alternano slanci ideali e attrazioni per la più vile materia, entusiasmi e depressioni. Ne esce insomma un quadro sintomatico: il primo movimento letterario dell'Italia unita esprime inequivocabilmente disorientamento e insofferenza.

Di segno molto diverso è lo sperimentalismo poetico di un grande autore di fine secolo. Giosue Carducci. La sua poesia (fra le tante raccolte conviene ricordare almeno Levia gravia, 1868; Le lime nuove, 1861-1867; Odi barbare, 1877-1889; Rime e ritmi, 1899) riprende formule metriche e stilistiche classiche, ma da voce però a un'ispirazione moderna. Ne risulta una poesia originale e inconfondibile, insieme artefatta ma comunicativa, cantata da un poeta che afferma con vigore l'importanza dell'arte della parola, e il proprio ruolo di cantore in grado di affascinare e conquistare il pubblico. Una rivalutazione dunque del verso, una rivendicazione della vitalità della poesia, ma ottenuta valorizzando e non contestando la più autorevole tradizione. Una formula in grado di superare il provincialismo di tanta produzione nazionale: Carducci fu insignito del premio Nobel per la letteratura nel 1906.

Alla fine del secolo il mercato editoriale italiano era ormai abbastanza articolato e rispondeva alle esigenze di settori di pubblico molto diversi. Si va dai libri di giornalisti come Ugo Ojetti e Matilde Serao alle corrispondenze dall'estero di Edmondo De Amicis (Spagna, 1872; Ricordi di Londra e Olanda, 1874; Marocco, 1876; Ricordi di Parigi, 1879), ai romanzi d'avventura di Emilio Salgari. a libri di genere come il giallo di Emilio De Marchi Il cappello del prete (1887). Di particolare interesse è un settore specifico, quello della letteratura per l'infanzia, al quale si dedicarono parecchi scrittori di fama (Luigi Capuana ad esempio scrisse Scurpiddu, 1898). Settore interessante anche perché proprio qui vanno annoverati due capolavori divenuti universalmente popolari. Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino (1880, 1883) di Carlo Collodi e Cuore (1886) di Edmondo de Amicis. I romanzi di Antonio Fogazzaro (fra gli altri, Malombra, 1881 e Piccolo mondo antico, 1895) offrirono un intrattenimento di alto livello affrontando tematiche molto discusse all'epoca, come ad esempio la possibilità di conciliare una visione scientifica della realtà con una prospettiva di tipo tradizionalmente religioso.

 

 

      Fra Ottocento e Novecento

 

Ci sono almeno quattro importanti scrittori che rappresentano il passaggio al nuovo secolo: D'Annunzio, Pascoli, Pirandello e Svevo. Essi manifestano aspetti caratteristici dell'Ottocento, ma si sarebbero rivelati punti di riferimento essenziali per gli scrittori del XX secolo. L'opera di Gabriele d'Annunzio si potrebbe considerare un concentrato di motivi letterari, culturali e ideologici tipici della sua epoca. Attento al valore fonetico e simbolico della parola poetica (erede in ciò del simbolismo francese e del movimento parnassiano), ma anche sensibile al valore referenziale delle parole, al loro risvolto materiale e sensuale (una componente tipicamente decadente), nelle Novelle della Pescara esasperò l'attenzione dello scrittore naturalista, concentrandosi sui dettagli che stimolano una sensibilità a tratti morbosa. I romanzi maggiori riprendono originalmente alcune tematiche della cultura europea a lui contemporanea, ispirandosi in particolare ora alle suggestioni del decadentismo europeo (Il piacere, 1889), ora all'opera di Fëdor Dostoevskij (L'innocente, 1892) e piegando alle esigenze della rappresentazione intuizioni e suggestioni scaturite da una lettura in chiave edonistica del pensiero di Friedrich Nietzsche (Il trionfo della morte, 1894; Le vergini delle rocce, 1895; Il fuoco, 1900). La fittissima produzione di D'Annunzio, autore anche di celebri opere teatrali (la tragedia Francesca da Rimini è del 1902). scandisce numerose tappe e approda a una dimensione "notturna", introspettiva e quasi privata, a sua volta assai originale e quasi anticipatrice di tendenze letterarie successive (si pensi alla rappresentazione in tono minore e personale delle migliori testimonianze antieroiche del dramma della prima guerra mondiale). D’altronde. D'Annunzio interpretò pure, esasperandola, la concezione di poeta vate inaugurata da Carducci (un protagonismo inizialmente apprezzato dal fascismo).

Le radici ottocentesche dell'opera di Luigi Pirandello si trovano invece nei temi naturalistici di tante sue novelle e dei suoi primi romanzi. L'elemento dell'imprevedibilità del destino umano, tuttavia, andò con il tempo approfondendosi fino a diventare un motivo "filosofico". Si passa così da romanzi paradossali come Il turno (1895, in cui un matrimonio di interesse fra una giovane spregiudicata e un vecchio arzillo finisce con la "vittoria" del vecchio) e da novelle siciliane come La giara a romanzi quali Il fu Mattia Pascal (1904) e Uno nessuno e centomila (1926), che rappresentano in modo emblematico la perdita di identità dell'uomo del Novecento. La stessa crisi fu scandagliata in tante celebri opere teatrali che gli valsero il premio Nobel nel 1934: Sei personaggi in cerca d'autore (1921 ), Enrico IV (1922), Questa sera si recita a soggetto e Come tu mi vuoi (1930), drammi e commedie in cui introdusse espedienti scenici originali, che tendevano ad avvicinare attori e pubblico, favorendo in certi casi una sorta di scambio delle parti.

Giovanni Pascoli ereditò dal clima verista l'attenzione per le piccole cose materiali e per la natura (Myricae, 1891). Le sue poesie presentano una vena idillica affidata però a un linguaggio fortemente originale e aperto, e da un punto di vista metrico prepararono la strada al verso libero del Novecento. L’originale simbolismo di Pascoli segnò la tradizione poetica successiva in direzione antidannunziana: la sua opera, antiretorica, non enfatica, ben poco "monumentale", è attenta agli oggetti comuni e alla vita quotidiana, soprattutto nella sua dimensione privata.

Romanziere "puro", Italo Svevo rappresenta un caso di superamento dei limiti della tradizione narrativa italiana. Non a caso fu amico dello scrittore irlandese James Joyce, autore dell'Ulisse, e venne scoperto non in Italia bensì in Francia, da Valéry Larbaud. Tre i suoi romanzi: Una vita (1892), Senilità (1898) e La coscienza di Zeno (1923), il suo capolavoro. L'analisi è concentrata su un protagonista "qualunque", su antieroi per eccellenza, in questo eredi non certo di D'Annunzio ma piuttosto di Emilio de Marchi e del suo Demetrio Pianelli (1890). Fra le componenti culturali più importanti del romanzo c'è la psicoanalisi: Svevo fu tra i primi scrittori italiani a conoscere l'opera di Sigmund Freud.

Questi quattro grandi scrittori avrebbero influenzato in vario modo la letteratura italiana successiva, Pascoli e D'Annunzio soprattutto la poesia, Pirandello e Svevo la narrativa. Ma con il nuovo secolo, e soprattutto con l'esperienza tragica della prima guerra mondiale, lo scenario culturale europeo mutò radicalmente.

 

 

     Il XX secolo

 

Due conflitti mondiali, l’esplosione della bomba atomica, in Italia il ventennio della dittatura fascista, la Resistenza e la ricostruzione; l'interesse per l’URSS da una parte e per gli Stati Uniti dall'altra, l’internazionalizzazione della cultura, la centralità di cinema e televisione, la beat generation e i movimenti di emancipazione del Sessantotto (vedi Movimento studentesco), il crollo del Muro di Berlino. Basta l'accenno a questi fatti fondamentali della storia contemporanea per capire quanto sia complessa la storia della cultura e della letteratura italiana di questo secolo. Per comodità è però possibile individuare alcune linee di massima intorno alle quali aggregare principali fenomeni letterali.

La prima linea, inaugurata dal futurismo, è quella dell'avanguardia. Data emblematica il 1909, anno di pubblicazione del Manifesto del movimento su "Le Figaro". Secondo Filippo Tommaso Marinetti la letteratura del XX secolo avrebbe dovuto entrare in sintonia con la modernità industriale, con la velocità delle macchine, la simultaneità delle sensazioni, l'interazione fra le arti. La sua proposta di "parole in libertà" come estremo rifiuto dell'esempio della tradizione si realizzò in opere linguisticamente ai limiti dell'incomprensibile, in cui il confine fra prosa e poesia è molto labile. Tale vena avanguardistica e sperimentale caratterizza un altro movimento, che suscitò polemiche e scalpore circa mezzo secolo dopo, in tutt'altro contesto storico e culturale. Il Gruppo 63 (Luciano Anceschi, Nanni Balestrini, Renato Barilli, Umberto Eco, Alfredo Giuliani, Giorgio Manganelli, Edoardo Sanguineti e altri) mise sotto accusa il sistema della comunicazione letteraria e culturale, fino a contestare l'utilizzo del linguaggio poetico e narrativo in quanto inevitabilmente compromesso con il mercato e logoro: di qui la nascita di cooperative editoriali, estranee al sistema dell'editoria ufficiale, che pubblicarono testi neoavanguardistici. Anche in questo caso il linguaggio è criptico e spesso artificiale, fatto di materiali espressivi assai vari, composti come in laboratorio.

A fronte di questa linea antinarrativa e antipoetica si sono sviluppate in Italia, a partire dall'inizio del secolo, una poesia e una narrativa molto più affabilmente comunicative. Prima tappa di una riconquista di medietà rappresentativa sia antifuturista sia antidannunziana fu la poesia crepuscolare. Sulle orme della proposta pascoliana, ma in chiave letterariamente meno ambiziosa sia per temi e scelte stilistiche sia per linguaggio, Guido Cozzano e gli altri poeti a lui vicini inaugurarono una poesia ironica verso il passato ma non sperimentale, adatta a cantare in tono dimesso i simboli della società piccolo borghese di provincia.

Presenta ben altro respiro artistico, ma perseguendo la scommessa di una poesia delle cose e delle parole chiare, il Canzoniere (1948) di Umberto Saba, uno dei capisaldi, con Montale e Ungaretti, della poesia italiana del Novecento. Se Giuseppe Ungaretti ricerca la sinteticità massimamente espressiva del verso, particolarmente adatta a dare voce all'esperienza immane e tragica - e perciò intima e inenarrabile - della Grande Guerra (in Il porto sepolto, 1916, Sentimento del tempo, 1933, Il dolore, 1947), nella sua prima raccolta, Ossi di seppia (1925), Eugenio Montale (premio Nobel nel 1975) canta il mare e i paesaggi della sua Liguria, dando loro un valore filosofico ed esistenziale. Tra le altre raccolte, nelle quali il male di vivere, la solitudine, l'angoscia e la morte sono i temi dominanti, si ricordano Le occasioni (1939), La bufera ed altro (1956). Satura (1971).

A partire dagli anni Cinquanta si profilò un gruppo di autori che interpretò in modo originale i lasciti dei poeti della prima metà del secolo. Così è per Giorgio Caproni, Vittorio Sereni, Mario Luzi, Attilio Bertolucci, Giovanni Giudici e, su un piano di maggiore elaborazione formale, Andrea Zanzotto.

La narrativa si sviluppò soprattutto negli anni Trenta nella misura della prosa d'arte, ma articolandosi anche in generi di confine come la letteratura di viaggio. Dopo qualche caso abbastanza isolato (Rubè di Giuseppe Antonio Borgese uscì nel 1921) e l'elaborazione da parte di Massimo Bontempelti della poetica del "realismo magico", volta a disvelare l'aspetto fantastico della realtà, l'affermazione del romanzo si registra al tempo della ricostruzione con il movimento del neorealismo. Legato all’epoca della Resistenza, esso si aprì alla testimonianza personale, alla memoria, al documento e al racconto. Ne discese un vero e proprio boom di romanzi e racconti interessanti, di autori come Elio Vittorini, Vasco Pratolini, Ignazio Silone, Cesare Pavese. Beppe Fenoglio, Italo Calvino e altri ancora, una ricchezza di proposte accentuata dal gran numero di

film prodotti con intenzioni espressive analoghe (vedi Neorealismo).

Da allora la narrativa di ampio respiro si affermò anche in Italia, come testimoniano alcuni casi eclatanti. Il Gattopardo (1958) di Giuseppe Tornasi di Lampedusa ottenne inaspettatamente un grande successo di pubblico, favorito anche dalla versione cinematografica del regista Luchino Visconti. La storia di Elsa Morante (1974) uscì su insistenza dell'autrice direttamente in edizione economica, riscuotendo notevole successo. Il nome della rosa (1980) lanciò Umberto Eco come primo autore italiano di best-seller internazionali, un ruolo recentemente interpretato da Susanna Tamaro: Và dove ti porta il cuore (1994) ha venduto, solo in Italia, quasi tre milioni di copie, ed è stato tradotto in decine di paesi stranieri.

Il romanzo, tuttavia, non copre tutta la famiglia dei testi in prosa. Nella misura breve della bella pagina (l'elzeviro, cioè l'articolo che apriva la terza del quotidiano) è possibile trovare l'eredità dell'ideale classicistico di scrittura letteraria. Una scrittura formalmente elaborata, attenta soprattutto allo stile, elegante e non di rado un pò snob: ecco gli ingredienti vincenti di tanti pezzi giustamente celebri di autori come Emilio Cecchi, Riccardo Bacchelli, Vincenzo Cardarelli, Antonio Baldini, autori legati alla rivista "La Ronda" (1919-1923). L'idea di una prosa elegantemente sobria, ispirata agli autorevoli modelli della tradizione avrebbe avuto un corrispettivo, in epoca fascista, nella poesia ermetica di Salvatore Quasimodo (premio Nobel nel 1959), che perseguiva un ideale di purezza e rarefazione espressiva evidente in raccolte come Ed è subito sera (1942), Giorno dopo giorno (1947) e Il falso e vero verde (1953), i cui componimenti rivelano una consapevolezza lirica e appassionata della tragicità della vita moderna. Quanto la sua poetica fosse ispirata dai modelli classici è rivelato dallo straordinario risultato espressivo che il poeta ottenne nelle sue traduzioni dei lirici greci.

Fra i testi in prosa della seconda metà del secolo figurano non pochi reportage di viaggio, opere di particolare interesse artistico e documentario. Bastino due casi di grande valore letterario: i viaggi di Carlo Levi (in Sicilia: Le parole sono pietre, 1955; in Sardegna: Tutto il miele è finito, 1964; senza dimenticare il romanzo-saggio Cristo si è fermato a Eboli, 1945) e il Viaggio in Italia (1957) di Guido Piovene. Fra gli autori di testi di viaggio spicca anche il nome di Alberto Moravia (viaggiatore in India, in Unione Sovietica, in Africa), autore di numerosissime opere di narrativa di intrattenimento colto, molto razionalmente orientale e attente ai rovelli esistenziali e psicologici di individui appartenenti non solo alla classe borghese. Fra i meriti dello scrittore va ascritto uno dei capolavori della narrativa italiana del Novecento: Gli indifferenti, che uscì nel 1929. in anticipo sui tempi sia dal punto di vista della scrittura (molto criticata perché trascurata, ma in realtà programmaticamente antiletteraria), sia da quello dei contenuti (scandalistici e critici verso il fascismo imperante). A riprova di come una prosa formalmente elaborata non necessariamente debba legarsi a contenuti "leggeri" e alla misura breve e brevissima, basta citare il lavoro letterario di uno dei maggiori scrittori del Novecento, Carlo Emilio Gadda, legato all'idea di bella prosa della rivista "Solaria" (1926-1936). ma capace di elaborare contenuti filosoficamente originalissimi. Dopo gli anni Sessanta, anche in Italia iniziò a svilupparsi una società di massa. Sul piano letterario ciò ha significato la moltiplicazione degli autori, la diversificazione dei prodotti letterari dovuti all'articolazione del mercato e la differenziazione del pubblico.

Fra i primi intellettuali fortemente critici rispetto alle nuove tendenze della cultura italiana va citato Pier Paolo Pasolini, scrittore, poeta, regista, intellettuale controcorrente. Ma se Pasolini si poneva in posizione radicalmente critica, vi furono scrittori di grande levatura che preferirono assumere un atteggiamento dialettico, intervenendo cioè nel dibattito dall'interno del sistema, senza opporsi radicalmente a esso. È questo il caso di Italo Calvino e di Leonardo Sciascia, entrambi scrittori e critici diversamente fiduciosi nel valore della razionalità, della vita. della cultura, della letteratura.

 

 

         Questione della lingua. Dibattito sulle caratteristiche della lingua letteraria italiana, sviluppatesi in Italia dal Trecento ai giorni nostri. La questione è strettamente legata alla storia della lingua italiana, e in particolare alle sue origini dal dialetto fiorentino (vedi Dialetti italiani), nobilitato e impostosi come lingua comune della penisola soprattutto grazie all'opera di Dante, Petrarca e Boccaccio.

Nel De vulgari eloquentia Dante fissò le regole dell'uso letterario del volgare: la questione si poneva per lui non tanto nell'esigenza di individuare un dialetto che fosse in sé migliore degli altri, ma nella creazione, mediante raffinamento, di una lingua "illustre", "cardinale" (in quanto cardine attorno al quale ruotano tutti gli altri dialetti), "aulica" e "curiale" (ossia degna di una corte e di un tribunale). Dante tuttavia vedeva nella frammentazione politica d'Italia un ostacolo insormontabile alla creazione di questa lingua.

Dopo il ritorno al latino promosso dall'umanesimo, il problema tornò di attualità tra la fine del Quattrocento e il Cinquecento. Si fronteggiarono allora tre correnti principali.

La corrente detta "cortigiana", che trovò i maggiori sostenitori in Vincenzo Colli, Baldassarre Castiglione e Gian Giorgio Trissino (autore anche di un progetto di riforma dell’ortografia), si ispirava a un ideale di lingua eclettico, come l’idioma usato nelle corti italiane dell’epoca, in cui, su una base genericamente toscana, si inserivano parole e costrutti mutuati da altre parlate italiane o di altri paesi (soprattutto il provenzale), purché raffinati e "aventi qualche grazia nella pronuncia" (Castiglione).

La corrente fiorentina, sostenuta fra gli altri da Niccolò Machiavelli, Pierfrancesco Giambullari e Benedetto Varchi, proponeva l'adozione del fiorentino come era parlato all'epoca. Ci fu una variante senese, rappresentata soprattutto da Claudio Tolomei, per il quale la lingua viva da prendere a modello era la parlata di Siena.

La corrente arcaizzante, detta poi "bembismo", ebbe il suo maggior rappresentante in Pietro Bembo, che nelle Prose della volgar lingua (1525) si oppose all'ipotesi di fondare l'italiano sull'uso linguistico comune delle corti rinascimentali, la cosiddetta "lingua cortigiana", perché non si può, affermava, considerare vera lingua letteraria una parlata che non sia nobilitata dall'opera di grandi scrittori. Per lo stesso motivo si dichiarò contrario all'adozione del fiorentino parlato, perché non era lingua abbastanza elaborata. Propose dunque l'adozione della lingua fiorentina del Trecento, in particolare quella di Petrarca per la poesia e quella di Boccaccio per la prosa; Dante non venne considerato sufficientemente esemplare, perché aveva accolto nella Divina Commedia voci provenienti da dialetti o lingue diverse.

L'opera di Bembo ebbe immediata risonanza e decretò il successo della corrente arcaizzante, che divenne preponderante dalla metà del secolo (lo stesso Varchi l'abbracciò intorno al 1560) grazie anche all'opera di Leonardo Salviati e alla fondazione dell'Accademia della Crusca (nel 1612 uscì il Vocabolario degli Accademici della Crusca, considerato sino all'Ottocento la massima autorità in fatto di lingua).

La lingua letteraria italiana si avviò dunque sui binari dell'arcaismo e del preziosismo, staccandosi dalla lingua d'uso quotidiano, per il quale si continuarono a utilizzare i dialetti. Non mancarono comunque voci contrarie; in particolare durante l'illuminismo si criticò l'eccessiva astrattezza e complicazione della lingua, proponendo come modello la chiarezza del francese.

Fu la conquista napoleonica a riaccendere le polemiche sulla lingua, che continuarono per tutto il secolo XIX, quando dopo l'unificazione e la nascita del regno d'Italia si rese necessaria una lingua per lo stato, per la scuola e l'amministrazione. Accanto a una corrente purista, rappresentata da Antonio Cesari, si affermò la posizione di Alessandro Manzoni, sostenitore della lingua fiorentina dell'epoca, d'uso colto, e quindi non più del solo modello della letteratura del Trecento. Esempio pratico di tale proposta fu la seconda edizione dei Promessi Sposi (1840), radicalmente rivista secondo tali termini. Autorevole voce contraria fu Graziadio Ascoli: la soluzione del problema, sostenne, non sta nell'adozione di una norma piuttosto che un'altra, ma nell'incrementare gli studi e l'attività intellettuale del popolo, per portarlo a comprendere la lingua della scienza e dell'amministrazione.

Il secolo attuale vede raffermarsi dell'italiano in tutti i settori della vita pratica e culturale: la presenza di centri egemoni sul piano sociale fa sì che la norma linguistica tenda a modellarsi sulla loro parlata. Attualmente il modello proposto da radio, cinema e televisione è di tipo misto, con una tendenza alla unificazione della pronuncia e una decisa introduzione anche nella lingua letteraria di registri ed espressioni tipiche del parlato, fenomeni che fanno dell'italiano, per la prima volta nella sua storia, una lingua completa e non solo letteraria.

 

 

 

      BIBLIOGRAFIA

 

Per la realizzazione dell’opera sono stati consultati i seguenti testi:

- "Italiano di Sicilia" di Giovanni Tropea

- "Proverbi siciliani" di Emma Alaimo

- "Lingua e storia in Sicilia" di Alberto Varvaro della Biblioteca comunale di S. Marco d'Alunzio

- "Viaggio nella memoria aluntina" realizzato dalla classe III B 1994-1995 della scuola media "Salvatore Quasimodo" di S. Marco d'Alunzio.

- Enciclopedia "Treccani"